Rivoluzione Covid

Parole, parole, parole: le varianti del virus e del vocabolario. L’epidemia del turpiloquio

Due anni di pandemia hanno cambiato non solo le esistenze ma innanzitutto il dizionario: neologismi, acronimi, arcaismi sono diventati di uso comune mentre altri termini si svuotavano del loro significato fino a divenire l’esatto contrario. Liberiamocene al più presto!

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di Carla Monteforte
9 febbraio 2022
10:16

E se fosse davvero finita? Se la pandemia fosse sul serio a un passo dall’essere archiviata?

Sedotta da quello che più che un esercizio di ottimismo è una pratica di fede, mi abbandono al dolce pensiero della fine dello stato d’emergenza, locuzione in cima alla lista delle parole che, assieme a Covid, vorrei per sempre estinte. Seguono: rigore, necessario, assembramento, tracciamento, prudenza. Che incubo!


Ecco i programmi della sottoscritta: indirizzare all’oblio le nefandezze dell’attuale turpiloquio.

Negli ultimi 24 mesi mentre le esistenze s’inaridivano i vocabolari s’arricchivano di neologismi horror, acronimi di ogni sorta e cenerentole da sillabario messe in ballo mentre termini pop venivano declassati, emarginati, umiliati e snaturati fino all’esatto contrario. Vedi positivo o negativo disorientati dalla privazione di socialità al punto da inventarsi, per sopravvivere, un gioco di ruolo in cui invertirsi le parti per ammazzare il tempo e l’apprendimento dei poveri nati in questo pezzo di storia in cui uccidono i baci, lessema interscambiabile di armi. È il crossdressing del lessico! Distopico più di un militare chiamato al contrasto e al contenimento di un’epidemia. Altre quattro parole da debellare: distopico, contrasto, contenimento ed epidemia (mentre militare ok solo se prestante).

 A cui aggiungere distanza, sicurezza, recrudescenza, che se le pronunci ad alta voce ogni sillaba ti trafigge il petto in una fitta che compitazione finisce dritto nei sinonimi di masochismo.

La peste non ha reso informe solo il tempo, ha reso informe innanzitutto la lingua: in due anni ha massacrato vite e parole che trovarne di adeguate a descriverne l’abominio è impensabile. Come il ritorno in auge di arcaismi che credevamo sconfitti coi conflitti mondiali e che invece erano virus nascosti dal sistema immunitario delle democrazie: coprifuoco, confinamento, guerra, quarantena, trincea, lasciapassare, esercito, zona rossa. E poi eroi, guerrieri, lotta, scudo che a sentirlo un’altra volta ti vien voglia di un’overdose di kryptonite, minerale immaginario presente nell’universo Dc e nell’inci dei microchip (altra voce da sopprimere).

Quanti anticorpi –basta! – ci vorranno per tornare alla normalità?

Verbo su cui per una volta sarebbe interessante interrogarsi: di che significato abbiamo intenzione di riempire il contenitore più ingannevole del dizionario? Il lucifero della lingua che ha più varianti di in Corona e ci confonde come un flash-mob in lockdown. Vade retro!

Per le ultime tre bestemmie non basterà l’elettroshock, per blasfemie quali restrizioni, lontananza, efficienza, curva, contagi, ondata, picco si dovrebbe invocare proprio quella cancel culture cara ai reazionari per combattere schwa e asterisco. Che poi sono sempre più comprensibili di indispensabile. Un nota a piè di pagina andrebbe fatta proprio su questo: esiste un significato universale di strettamente necessario? C’è un imprescindibile che ci accomuna tutti?

Il termine che dovremmo riabilitare urgentemente è essenziale ricordandoci quanto - prima di Cts, mrna, sanificazioni e Speranza (a proposito di vocaboli en travesti) – ci fosse caro superfluo. Sostanziale quanto i plateau da far tornare tacchi per prendere a calci due anni di bestemmie e congiunti. Da evitare, da venerdì in avanti, non solo nel lessico.

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