Molteno si sveglia lenta, come certi paesi della Brianza che custodiscono la stessa luce da generazioni. Le case sembrano osservare la strada che oggi divide gli abitanti come un confine invisibile: via Aldo Moro, il tratto che l’amministrazione vorrebbe intitolare a Lucio Battisti. Una targa, un segmento di asfalto, un gesto simbolico che ha riaperto ricordi, nostalgie e qualche ferita. Qui, dove Battisti visse per venticinque anni protetto dagli alberi della brughiera, il suo nome non è mai scomparso. Ma metterlo su un cartello stradale è un’altra storia.

Inizia tutto dentro l’officina di Elio Corti, 86 anni, che stringe ancora la chiave inglese del ricordo. «La sua Beta Hpe Executive era color caffelatte, interni blu. Motore ingolfato. Io ho preso una chiave da 10 e ho risolto», racconta con quella calma che hanno solo gli uomini che la vita hanno imparato a respirarla. È qui che, senza saperlo, è diventato “quel gran genio del mio amico”, anche se nel testo c’era un cacciavite e non una chiave inglese. Poco importa: importa che a Molteno, per Lucio, farebbero una statua. E che oggi, mentre alcuni protestano, altri rispondono con un sorriso largo come la nostalgia.

Sulla collina del Coroldo, che tutti chiamano ormai “la collina dei ciliegi”, si nascondeva la sua casa. Un rifugio tra i boschi, lontano dalla confusione, scelto quando la fama cominciava a diventare asfissiante. Qui Battisti cercava silenzio, e qui arrivavano le telefonate che oggi sembrano cartoline da un’altra epoca: un guasto improvviso, una motofalciatrice ribaltata, l’urgenza di un amico che non parlava molto ma sapeva chiedere aiuto. Elio saliva senza fare domande. «Eravamo amici», dice. «Anche se mi chiedeva sempre lo sconto».

Il sindaco Giuseppe Chiarella osserva quella collina come un pezzo di patrimonio culturale. «Qui ha scritto buona parte della sua musica», ripete, convinto che l’intitolazione sia un atto dovuto, un modo per chiudere un rapporto difficile con gli eredi e per restituire al paese un senso di pace. La petizione contraria 44 firme, molte neppure di residenti – non lo spaventa. «Costi non ce ne saranno, e la procedura è semplice. Vogliamo solo onorare un concittadino illustre».

Ma a Molteno le emozioni non si contano in delibere. Si raccolgono nei luoghi. Nel bar Sport, tra caffè e brioche, si ricorda la Mercedes verde che attraversava il paese nelle mattine d’inverno. «Veniva all’oratorio a giocare a pallone», giura qualcuno. «No, al campo dell’A.C. Molteno», ribattono gli altri. L’unica certezza è una partita celibi contro ammogliati in cui Battisti e Mogol risero come ragazzini. «Era quieto, ma non un musone», dice Carluccio Molteni, economo della parrocchia. Il giorno del funerale, invece, ci fu solo silenzio: venti persone dentro la chiesa barocca, migliaia fuori, la Brianza immobile come una fotografia.

Poi c’è il ristorante Riva, dove l’odore della faraona al forno sembra ancora rimasto appeso alle pareti. «Amava gli gnocchi di zucca», racconta Paola Consonni. «Mangiava nella saletta interna, lontano dal trambusto». E su quel muretto esterno – così narra la leggenda – lui e Mogol avrebbero immaginato La collina dei ciliegi. Che sia vero o no conta poco: conta che Molteno si nutriva della sua presenza discreta.

In officina, intanto, il nipote di Elio, Paolo, ricorda le serate d’inverno. «Arrivava all’improvviso, quando fuori non c’era anima viva. Pane e salame sulla cassetta degli attrezzi, una Land Rover da sistemare. Parlava poco ma parlava bene». Il mito, visto da vicino, non somigliava a un mito. Somigliava a un uomo normale, protetto dalla sua stessa timidezza.

E così il paese oggi litiga, si scalda, si divide. Non sul valore di Battisti, che nessuno mette in discussione, ma sull’idea di fissarlo in una targa. C’è chi teme di perdere qualcosa, chi pensa che sia un atto dovuto, chi vuole solo che Molteno resti Molteno, senza sovrastrutture.

La verità è che il dibattito ha già fatto emergere ciò che la targa vorrebbe raccontare: che in questo angolo di Brianza un uomo schivo trovò un rifugio, che la sua musica nacque qui, e che un paese intero non ha mai smesso di aspettare il suo ritorno. Forse Lucio non avrebbe amato tutto questo clamore. Ma Molteno lo sta facendo per lui, e in fondo lo fa con la stessa discrezione con cui per anni gli ha permesso di vivere senza essere disturbato. Una via può dividere. La memoria no. Qui, almeno, non lo ha mai fatto.