C’è qualcosa che stride nell’aria frizzante di Milano. Mentre l’inchiesta sulla gestione urbanistica della città fa tremare Palazzo Marino, con avvisi di garanzia che arrivano fino al sindaco Sala e le dimissioni dell’assessore Tancredi ancora calde, il mercato immobiliare di lusso procede sereno, inarrestabile, come se nulla lo potesse sfiorare. Anzi: accelera. E prende il volo.

Nel cuore del Quadrilatero della moda, in vie che già profumavano di Chanel e leasing da 36 mesi, oggi si vendono case a quasi 40mila euro al metro quadro. Un dato che fa impallidire Londra, Parigi, Madrid. Altro che crisi: dal 2021 al 2024, i prezzi delle case di fascia alta a Milano sono saliti del 57%. E la colpa – o il merito, dipende da che parte si guarda – non è di chi ci vive. Ma di chi ci si trasferisce, con valigie cariche di milioni e dichiarazioni dei redditi dall’estero.

Il giochetto è semplice: flat tax. Una norma introdotta nel 2017 e mai più toccata – anzi, rafforzata – che consente a chi si trasferisce in Italia con capitali esteri di pagare 100mila euro l’anno, fissi, a prescindere dal patrimonio. Dal 2024, per chi coinvolge anche i familiari, si sale a 200mila. Ma resta un affare. Perché parliamo di investitori, fondi speculativi, miliardari che – alla modica cifra di un super SUV all’anno – diventano residenti fiscali italiani. E scelgono, ça va sans dire, Milano.

Secondo le stime, almeno 4.500 super ricchi hanno aderito al regime agevolato tra il 2018 e il 2023. E due su tre si sono stabiliti a Milano. Alcuni comprano, altri affittano a cifre che nessun normale stipendio può permettersi. Il 40% delle compravendite di immobili sopra il milione di euro avviene a Milano, e il dato è in crescita.

Chi lavora nel settore ha smesso di stupirsi. “Un attico in Brera? Venduto in 48 ore. Vista Duomo? Se non hai almeno dieci milioni, neppure ti rispondono”. È il nuovo corso milanese: un paradiso fiscale mascherato da città dinamica, dove però l’unica vera mobilità è quella verticale – in ascensore, verso il superattico.

Ma mentre i ricchi fanno shopping immobiliare, il resto della città soffre. I milanesi veri – quelli che prendevano il tram, facevano la spesa alla Pam e pagavano il mutuo – oggi sono in fuga. Sfrattati, tagliati fuori, costretti a spostarsi in massa verso l’hinterland, mentre anche lì i prezzi salgono per “effetto contagio”. Perché quando l’oro abita il centro, l’argento si accontenta della cintura.

Il vero dramma è che non si costruisce abbastanza. Il mercato è bloccato tra vincoli, speculazioni e scelte urbanistiche opache – proprio quelle finite ora nel mirino della Procura. La scarsità di offerta è il carburante perfetto per chi ha soldi da buttare, perché ogni casa diventa un trofeo. E chi non partecipa al gioco viene escluso.

Nel frattempo, i milanesi pagano 25 miliardi di tasse in più, solo perché gli adeguamenti parziali di stipendi e pensioni li hanno spinti verso scaglioni Irpef più alti. Nessuna flat tax per loro. Nessun sconto. Solo meno potere d’acquisto e una città che non riconoscono più.

Siamo sicuri che sia questo il modello da esportare? Una metropoli dove gli studenti universitari si ritrovano a dormire nei container e gli operai fanno i pendolari da Novara, mentre in piazza San Babila aprono boutique di interior design con ingresso riservato ai residenti “gold”?

L’effetto di agglomerazione, lo chiamano. Quello che secondo il Nobel Paul Krugman rende le città attrattive per cervelli e capitali. Peccato che Milano rischi di diventare attrattiva solo per i secondi. Perché i cervelli, se non trovano case dove vivere e stipendi decenti, se ne vanno. E il paradosso è servito.

Milano corre, sì. Ma per farlo, ha deciso di perdere zavorra. Peccato che la zavorra, spesso, fosse il cuore. E i milanesi veri.