La segretaria dem incassa fischi e gelo. Pina Picierno attacca: «Serve un chiarimento immediato». Ma l’ex avvocato del popolo insiste: «Mai una questione personale, il nostro obiettivo è solo mandare a casa Meloni»
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Appena il centrosinistra prova a dirsi “unitario”, arriva puntuale la mazzata di Giuseppe Conte. Alla festa del Fatto Quotidiano a Roma, davanti a un pubblico già scaldato dai fischi contro Elly Schlein, l’ex premier ha infilato la frase che nessuna segretaria dem vorrebbe sentire: «Con il Pd non siamo alleati». Una dichiarazione chirurgica, arrivata mentre il Nazareno festeggiava le candidature unitarie alle Regionali come se fossero la prova provata della ritrovata compattezza.
Conte ha scelto di smontare la narrazione con la calma da leguleio che gli è propria: «Stiamo costruendo un progetto politico per mandare a casa Meloni. Dichiararsi pregiudizialmente alleati rischia di indebolire». Tradotto: grazie dell’invito, ma la tavolata comune non esiste. «Siamo una forza diversa, abbiamo una storia diversa dalla Quercia coi cespugli intorno», ha chiosato, evocando i vecchi Ds come se fossero muffa di un’altra era politica.
Sul palco, la segretaria dem aveva già subito la contestazione rumorosa di una parte del pubblico. Fischi, mugugni, applausi intermittenti. Il clima non era certo quello delle grandi occasioni, e la stilettata di Conte ha completato il quadro: Schlein, di fatto, è stata gelata in casa altrui.
Il presidente del Movimento 5 Stelle, però, non si è fermato alla smentita. Ha provato a indossare la veste del progressista responsabile: «Attenzione, ogni giorno lavoriamo per costruire un progetto per contrastare questa destra estremista. Alleati saremo quando convergeremo sul progetto progressista, nero su bianco». Un’altra supercazzola in piena regola: alleati sì, ma non adesso. Domani, chissà.
E mentre Conte si destreggiava tra distinguo e reticenze, è arrivata la controffensiva interna al Pd. Pina Picierno, eurodeputata della minoranza dem, non ha usato giri di parole: «È necessario un chiarimento con Conte». Poi la stoccata alla leadership di Schlein: «Il rinvio non serve, la chiarezza va fatta subito». Un modo elegante per dire che la segreteria brancola, stretta tra la voglia di stringere l’asse con i 5 Stelle e la realtà di un leader che davanti a un microfono scava trincee invece di costruire ponti.
Conte, intanto, continua a negare ambizioni personali. «Per me non sarà mai una questione personale. Vogliamo lavorare per un progetto progressista serio che possa migliorare il Paese». Dichiarazioni già sentite, che servono a spostare l’attenzione dall’ossessione del “ritorno a Palazzo Chigi” che in tanti gli attribuiscono. Ma la platea ha capito benissimo che il pallino resta quello: tornare protagonista nel gioco grande.
Il centrosinistra si ritrova così spaccato, ancora una volta, nel momento in cui avrebbe dovuto mostrarsi più compatto. Gli accordi faticosamente raggiunti sulle Regionali vengono bruciati da una frase. Il Pd incassa, Conte alza la posta, il pubblico rumoreggia. In mezzo, una segretaria che appare sempre più fragile e isolata.
La sensazione è che l’ex premier abbia scelto con cura il momento. La festa del Fatto non è un’arena neutrale, ma il salotto che da sempre offre al leader M5S un terreno favorevole. E lì, con Elly Schlein già contestata, ha potuto giocare di fioretto e sciabola, confezionando un colpo che manda in tilt le strategie del Nazareno. Una doccia fredda non solo per la segretaria, ma per tutto il gruppo dirigente che nelle ultime settimane aveva provato a vendere come “unità” la semplice sopravvivenza tattica di qualche candidatura comune.
In realtà, Conte ha ribadito quello che ripete da mesi: l’alleanza col Pd non è un dogma, ma un’opzione. Però lo ha fatto nel momento peggiore per i dem, cioè quando cercavano di accreditarsi come motore di un fronte progressista compatto. Risultato: Schlein appare debole, il Pd spaccato tra chi chiede dialogo a ogni costo e chi, come la Picierno, pretende chiarezza immediata.
Il problema, per i dem, è che Conte non ha nessuna fretta. Anzi, sembra quasi divertirsi a mantenere l’ambiguità, a ribadire “non siamo alleati” per poi aggiungere “ma lo saremo se…”. Un gioco di specchi che gli consente di stare al centro della scena senza prendersi impegni vincolanti. E intanto, nel suo elettorato, alimenta l’idea di un Movimento diverso, non succube, pronto a guidare piuttosto che a seguire.
Il Pd, al contrario, appare appeso a quella che ormai sembra una dipendenza cronica dal rapporto con i 5 Stelle. Ogni smentita di Conte diventa un colpo alle gambe. Ogni distinguo, una ferita. E la leadership di Schlein, già sotto fuoco amico per le scelte interne, rischia di perdere ulteriore credibilità.
Così, la festa che doveva essere il palcoscenico del progressismo si è trasformata nell’ennesima scena di un dramma tutto interno al centrosinistra: Conte che piccona, Schlein che incassa, il pubblico che fischia. Un copione che si ripete con implacabile puntualità. E che lascia in sospeso la domanda di fondo: chi, davvero, guida oggi l’opposizione a Giorgia Meloni?