Covid, Conte non va in tv e rimanda la firma del nuovo Dpcm: i nodi da sciogliere

Le ultime indiscrezioni riferiscono di tensioni con le Regioni che chiedono provvedimenti più «equi». Si continua a trattare: ecco i punti dove si è incagliato il provvedimento

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di Redazione
24 ottobre 2020
21:04
Giuseppe Conte
Giuseppe Conte

Il premier Giuseppe Conte potrebbe firmare il nuovo Dcpm solo nella giornata di domani. È quanto scrive l’Ansa, apprendendo la notizia «da qualificate fonti di governo». Il testo, infatti, sarebbe suscettibile di ulteriori modifiche in queste ore. Sul tavolo, innanzitutto, ci sarebbe la possibilità di limitare gli spostamenti tra le Regioni, misura su cui non ci sarebbe il convinto accordo di tutti. La questione è stata posta dal premier anche nel corso della riunione con i capigruppo.


Le misure che dovrebbero essere contenute nel nuovo Dpcm, annunciate nella bozza uscita questo pomeriggio, non convincono le Regioni. Forse per questo, il premier ha deciso di rinviare la presentazione del nuovo decreto annullando la conferenza stampa che era stata annunciata per le 20.20 di stasera.



I governatori chiedono provvedimenti più «equi» e ristori immediati per le categorie penalizzate e premono per spostare la chiusura alle 23 con servizio al tavolo e alle 20 al banco.


Mentre il governatore della Campania Vincenzo De Luca sfida apertamente l'esecutivo: i locali rimarranno aperti fino alle 23 e la didattica a distanza sarà al 100% per tutte le scuole e non al 75 per le sole superiori come indicato nella bozza del decreto.

 

Consapevole di non poter più attendere e pressato da buona parte della maggioranza, dagli scienziati e dalle fughe in avanti dei governatori, il premier Giuseppe Conte già di prima mattina riunisce i capi delegazione e alcuni ministri per mettere nero su bianco i provvedimenti.

Con due punti fermi. Il primo è che non ci sarà un lockdown nazionale e vanno garantiti scuola e lavoro: tutto il resto può dunque essere sacrificato. Il secondo è che bisogna muoversi in fretta: «Le prossime settimane si preannunciano complesse, non potremo abbassare la guardia, perché se non proteggiamo la salute dei cittadini non proteggiamo l'economia».


La stessa linea che il ministro della Salute Roberto Speranza illustra nella riunione con le Regioni. Servono «misure rigorose, robuste e serie» per «governare la curva e raffreddare la situazione» evitando di arrivare a «misure più drastiche». I numeri, d’altronde, non consentono disattenzioni: altri 19mila contagiati che portano il totale a oltre 500mila, 151 morti in 24 ore - non era così dal 21 maggio - altri 79 pazienti in terapia intensiva dove ora ci sono 1.128 persone, e 738 ricoverati nei reparti ordinari.


La bozza del Dpcm che il governo consegna agli enti locali va però oltre le misure ipotizzate nei giorni scorsi. E, di fatto, sancisce la fine della vita sociale, almeno per un mese. La chiusura di palestre e piscine era ampiamente attesa, meno quella di cinema e teatri così come l'impossibilità di festeggiare un matrimonio o una comunione: fino ad oggi si potevano invitare fino a 30 persone, da lunedì sarà vietato qualsiasi evento.


Sui trasporti pubblici locali la bozza prevede che i presidenti di regione rivedano la programmazione delle corse «finalizzata alla riduzione e alla soppressione dei servizi...sulla base delle esigenze effettive e al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali». Non è invece entrato nel Dpcm il divieto di spostamento tra le regioni.


«Valutiamo insieme» ha detto il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia ai governatori, con il testo che si limita a chiedere 1di non spostarsi dal comune di residenza salvo per comprovate esigenze lavorative, di studio e per motivi di salute».


Anche l'anticipo dell'orario di chiusura dei locali era previsto, ma il governo ha scelto la formula più rigorosa: stop alle attività di bar, ristoranti, pasticcerie e gelaterie dalle 18 e al tavolo si potrà stare in non più di quattro. Dopo quell’ora sarà vietato il consumo di cibi e bevande in luoghi pubblici e aperti al pubblico, con i sindaci che potranno chiudere le piazze alle 21.


Ed è proprio su questo punto che è ancora in corso la discussione, a tratti anche accesa. All’interno dello stesso governo e, soprattutto con le Regioni e i comuni. A sfidare apertamente l'esecutivo è Vincenzo De Luca: il governatore della Campania, secondo il quale Napoli deve diventare tutta zona rossa, conferma di voler mantenere aperti i locali fino alle 23 e di portare la didattica a distanza al 100% in tutte le scuole.


Due misure in aperto contrasto con il Dpcm che, se mantenute, potrebbero portare il governo ad impugnare il provvedimento. Più morbido il presidente dell'Anci Antonio Decaro, che ha chiesto comunque di «valutare» le chiusure sottolineando le «differenze oggettive» da comune a comune. E diversi presidenti da Zaia a Cirio fino Toti e Fedriga hanno insistito sulla necessità di rivedere le scelte fatte con misure più «eque e razionali».

I governatori all'unisono chiedono piuttosto un potenziamento della medicina territoriale, con il coinvolgimento diretto dei medici di base per lo screening dei positivi e, soprattutto, compensazioni economiche per le attività che dovranno fermarsi. «Vanno garantiti ristori - dice il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini - perché ci sono settori che difficilmente riapriranno».

Su questo il governo sta lavorando ad un decreto che dovrebbe arrivare già la prossima settimana, con Boccia che ha garantito che i soldi ci saranno. «Le attività devono essere tassativamente ristorate e in tempi brevi».

Sull'orario di apertura di bar e ristoranti le valutazioni nel governo sono comunque ancora in corso e potrebbero esserci degli aggiustamenti, anche per cercare di evitare quanto più possibile di acuire le tensioni sociali che montano nel paese, come dimostrano gli scontri di Napoli seppur quanto avvenuto ieri sera non è direttamente collegabile al disagio dei cittadini.

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