Era stata la barzelletta della scorsa estate quella del ministro “nammurato” dell’esperta pompeiana. Una storia così kitsch da sembrare scritta da uno sceneggiatore con troppo sole in testa: il ministro della Cultura che riceve la chiave d’onore di Pompei, la città che tutto il mondo invidia, e decide di regalarla a Maria Rosaria Boccia, la donna che lo aveva stregato tra scavi e colonne. Un gesto galante da cartolina vintage, peccato che la cartolina fosse di proprietà dello Stato.

Il risultato? Un’accusa di peculato e mesi di cronache ironiche, rievocando più Alberto Sordi che i manuali di diritto penale. Ma ieri, a Palazzo Madama, è andato in scena il gran finale: 112 senatori hanno votato per fermare il processo, 57 hanno provato timidamente a opporsi. La Giunta per le immunità ha spiegato che il gesto di Sangiuliano rientrava nel “perseguimento del preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”. Traduzione simultanea dal politichese: quando sei ministro, perfino regalare la chiave della città a una signora diventa un atto di Stato.

I legali dell’ex ministro, gongolanti, hanno ricordato che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che la famosa chiave era stata “regolarmente acquistata” dall’ex titolare della Cultura, diventando sua proprietà. L’amore, dunque, non solo non è reato, ma quando passa per il registro contabile diventa persino blindato.

In aula la scena ha oscillato tra il teatrino e il cabaret. Gian Marco Centinaio, senatore leghista in vena di comicità, ha lanciato la sua gag: «Lasciamo i colleghi nella suspense… Sim Salabim!». Pare che la bacchetta magica delle immunità funzioni sempre, almeno quando l’incantesimo è a senso unico.

E già che la giostra era partita, Palazzo Madama ha deciso di servire il menu completo. Maurizio Gasparri ha incassato il via libera sull’insindacabilità per le sue bordate al magistrato Luca Tescaroli, accusato di ambizioni politiche mentre indagava su temi delicati nel 2023. Voti a favore 117, contrari 23: minoranza rumorosa, ma ininfluente. Anche qui, la traduzione è facile: se parli in Parlamento, puoi dire quello che vuoi, persino trasformare le toghe in bersagli mobili.

Non poteva mancare il terzo atto, con protagonista Matteo Renzi e il suo libro Il Mostro. In un capitolo, l’ex premier accusava la pm Christine Fumia von Borries di aver ignorato prove a discarico pur di ottenere la condanna dei suoi genitori. Apriti cielo: querela e procedimento civile a Milano. Ma il Senato ha fatto calare il sipario con 118 voti a favore dell’insindacabilità. Come dire: scrivi, parla, accusa… finché sei in quel club esclusivo, puoi farlo senza troppi pensieri.

La giornata di Palazzo Madama si è chiusa così, tra sorrisi tirati e un’aria da vecchia commedia all’italiana. La politica ha steso la sua coperta protettiva, il ministro “nammurato” ha archiviato l’ultima puntata della sua saga pompeiana e la chiave della città può tornare nel suo cofanetto dorato. Dopotutto, in certi palazzi, la magia funziona sempre: basta dire “Sim Salabim” e il sipario cala sul reato.