A 78 anni festeggia il successo di “Luck and Strange” e il film dai concerti al Circo Massimo. Il passato con Waters resta una frattura insanabile: «Non potrei più condividere il palco con lui»
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Non è mai stato un uomo di molte parole. David Gilmour ha sempre lasciato che a parlare fosse la sua chitarra, inconfondibile come una firma, ma alla soglia degli ottant’anni ha deciso di tornare a raccontarsi. Lo fa in una recente intervista al Corriere della Sera, da protagonista di una nuova stagione artistica, con un album solista arrivato primo in classifica in Gran Bretagna e un film che porta al cinema gli epici concerti al Circo Massimo di Roma. Sorriso appena accennato, ironia sottile, lucidità tagliente: Gilmour non è tipo da nostalgie facili, ma il passato dei Pink Floyd continua a bussare alla porta. E ogni volta, inevitabilmente, riaffiorano ferite e magie.
«Una reunion con Roger Waters? No, mai. Confermo le stesse parole dette l’anno scorso: non suonerò mai più con chi sostiene dittatori come Putin e Maduro», spiega secco. Poi, con un guizzo che spiazza, aggiunge: «Magari con l’intelligenza artificiale sì. Se fatta bene, potrei anche immaginare una reunion virtuale: vedermi da giovane sul palco e io tra il pubblico. Ma non è la stessa cosa». La frattura resta insanabile, e il solo pensiero di tornare a dividere il palco con l’ex compagno è per Gilmour un’ipotesi inesistente.
Il presente lo rende sereno. «Suonare al Circo Massimo è stato magico. Esibirsi in un luogo vivo da duemila anni dà un senso di pace che gli stadi non sanno trasmettere», racconta. Non è la prima volta che il chitarrista porta la sua musica in scenari unici. Il legame con l’Italia è forte e antico: indimenticabile il set leggendario a Pompei nel 1971, quando i Pink Floyd si esibirono senza pubblico tra le rovine romane. «Sembrava di suonare davanti ai fantasmi», ricorda. «Anni dopo, nello stesso teatro, da solista, l’atmosfera era del tutto diversa: c’era il pubblico e la magia si moltiplicava».
Ma quando si cita l’Italia, torna subito alla mente Venezia 1989. Quel concerto sul palco galleggiante in laguna è entrato nella memoria collettiva, ma per Gilmour rimane anche una ferita mai chiusa. «Sono ancora arrabbiato con il Comune. Avevamo accordi precisi che non vennero rispettati. Centomila persone senza bagni, abbandonate a sé stesse. Poi le polemiche assurde sul fatto che avremmo potuto rovinare i monumenti con le vibrazioni». E scuote la testa: «Eravamo su piattaforme al largo. Come avremmo potuto danneggiarli?».
Il passato non è fatto solo di polemiche, ma anche di ombre più intime. Syd Barrett, il genio fragile e tormentato che aveva fondato i Pink Floyd, rimane una presenza costante nella memoria del chitarrista. «Non è del tutto vero che Wish You Were Here sia interamente dedicato a lui. Quel pezzo parlava dell’assenza in generale. Ma Shine On You Crazy Diamond era per Syd», precisa. Poi rievoca l’incontro imprevisto durante le registrazioni: «All’inizio non lo riconoscemmo, era cambiato completamente. Poi capimmo che era lui, ma fu lui a non riconoscere noi. Viveva nel suo mondo». Gli chiedono se si sarebbe potuto salvare. «Con la psichiatria di oggi, forse sì. Allora non credo. Non avevamo gli strumenti».
Ci sono anche i ricordi cinematografici, come la collaborazione con Michelangelo Antonioni per Zabriskie Point. «Suonavamo solo di notte, perché si erano dimenticati di prenotare la sala di giorno. Antonioni lavorava sempre, e a volte si addormentava accanto alla mia chitarra». Episodi che raccontano l’atmosfera di un’epoca irripetibile, sospesa tra cinema, arte e musica.
Il filo che lega tutto resta la coerenza. «Non c’è alcuna possibilità di tornare a suonare con Waters. Non potrei dividere il palco con chi sostiene regimi e dittatori», ribadisce. Eppure, nello stesso respiro, non nega il fascino della tecnologia: «Se un giorno l’IA ci ricreasse come allora, potrei guardarmi seduto in platea. Sarebbe curioso, ma non sarebbe mai una vera reunion».
Oggi David Gilmour è un artista che continua a creare, con la calma di chi sa di avere già scritto pagine indelebili di storia. «Il segreto è restare curiosi. La vecchiaia arriva, certo, ma preferisco far parlare la musica. È l’unico modo per restare vivi davvero». Pompei, Venezia, Syd, Waters: i fantasmi del passato restano, ma la chitarra continua a cantare. E finché lo farà, Gilmour potrà dirsi in pace.