Si è spento l’8 novembre 2025, all’età di sessantanove anni, presso l’Ospedale San Camillo di Roma, il maestro Peppe Vessicchio. Figura cardine della musica italiana, volto amatissimo dal pubblico del Festival di Sanremo e simbolo vivente di una concezione nobile e artigianale dell’arte musicale. La notizia della sua scomparsa ha destato unanime commozione nel mondo della cultura e dello spettacolo, dove Vessicchio era riconosciuto come uno degli ultimi custodi della grande tradizione orchestrale al servizio della canzone d’autore.

Giuseppe “Peppe” Vessicchio nacque a Napoli il 17 marzo 1956, in una città che è di per sé un pentagramma di suoni e memorie. Proveniente da una famiglia modesta, rivelò sin da giovanissimo una naturale inclinazione per la musica. Dopo gli studi al Conservatorio di San Pietro a Majella e una breve parentesi universitaria in Architettura, il suo destino si legò indissolubilmente alle sette note.
Negli anni Settanta fece parte del trio comico-musicale I Rottambuli, embrione di quello che sarebbe poi divenuto I Trettré; ma ben presto abbandonò la dimensione goliardica dello spettacolo per seguire la più austera vocazione della composizione e dell’arrangiamento.

La sua carriera prese forma negli anni Ottanta, quando Vessicchio si affermò come arrangiatore e produttore di talento, collaborando con interpreti del calibro di Peppino di Capri, Edoardo Bennato, Peppino Gagliardi e Nino Buonocore. Ma la svolta decisiva giunse con Gino Paoli, con cui condivise un sodalizio artistico di rara intesa, culminato in brani raffinati come Ti lascio una canzone, Cosa farò da grande e Coppi. In quelle partiture si avverte già la cifra stilistica che accompagnerà tutta la sua carriera: un equilibrio mirabile tra classicità melodica e modernità armonica, tra rigore tecnico e sensibilità poetica.

Il nome di Peppe Vessicchio resterà per sempre legato al Festival di Sanremo, di cui fu, per oltre tre decenni, presenza costante e amatissima. Sin dal suo debutto sul podio dell’Ariston nel 1990, la sua figura è diventata un simbolo della competenza, della sobrietà e del rispetto per la musica.
Negli anni ha diretto alcune delle più memorabili esibizioni della storia recente del Festival, accompagnando artisti di generazioni e generi diversi, da Mia Martini a Mango, da Ron a Ornella Vanoni, da Zucchero Fornaciari ad Andrea Bocelli.

Le sue bacchette hanno condotto alla vittoria ben quattro interpreti: gli Avion Travel con Sentimento (2000), Alexia con Per dire di no (2003), Valerio Scanu con Per tutte le volte che… (2010) e Roberto Vecchioni con Chiamami ancora amore (2011). In ognuno di questi casi, la direzione di Vessicchio non fu un mero atto tecnico, ma un gesto quasi coreografico, in cui la musica pareva respirare con l’interprete.

Negli anni in cui la canzone italiana sembrava progressivamente cedere all’omologazione del suono elettronico e dell’autotune, la presenza del Maestro sul palco di Sanremo assumeva il valore di un baluardo etico ed estetico: un richiamo alla purezza dell’esecuzione dal vivo, al rispetto della partitura, alla sacralità dell’orchestra. Non a caso, la frase “Dirige l’orchestra il maestro Peppe Vessicchio” divenne un piccolo rito nazionale, un segnale di continuità e di rassicurazione per il pubblico televisivo.

La grandezza di Vessicchio non risiede soltanto nelle sue apparizioni televisive, ma nella vastità delle sue collaborazioni, che toccano ogni angolo della musica italiana. Oltre ai già citati Paoli e Bennato, lavorò con Elio e le Storie Tese, dimostrando un’insospettabile ironia e apertura alla sperimentazione; con Andrea Bocelli, per cui curò gli arrangiamenti del celebre brano Sogno; con Mario Biondi, Biagio Antonacci, Lina Sastri, Ron e molti altri.
In tutte queste esperienze, il Maestro riusciva a piegare il linguaggio orchestrale alle esigenze del pop, senza mai impoverirne la struttura, conservando il senso della forma e del respiro sinfonico.

Il suo sapere musicale non si limitava alla prassi: fu anche compositore, scrittore e divulgatore, autore di saggi sulla fisica del suono e sulla risonanza armonica, convinto che la musica fosse una scienza dell’anima prima ancora che un mestiere.

Accanto all’attività concertistica, Vessicchio trovò nella televisione un potente strumento di divulgazione. Memorabile la sua partecipazione al programma “Viva Napoli”, ideato e condotto da Mike Bongiorno, trasmesso a partire dal 1994 su Canale 5 e poi su Rete 4.
In quella trasmissione, dedicata alla riscoperta della canzone partenopea, il Maestro fu direttore musicale e orchestrale, conferendo al repertorio tradizionale un’inedita veste sinfonica e moderna.
Il successo di “Viva Napoli” testimoniò quanto profondo fosse il legame tra Vessicchio e la sua città: una Napoli intesa non come folclore, ma come laboratorio di eleganza melodica e di memoria collettiva.

Con la scomparsa di Peppe Vessicchio si chiude un capitolo irripetibile della musica italiana. Figura al tempo stesso colta e popolare, rigorosa e affabile, egli ha incarnato l’idea che la musica leggera possa essere, se condotta con intelligenza e cuore, una forma alta di arte.
Il suo gesto, sempre composto e preciso, non era soltanto direzione tecnica, ma trasmissione di un ethos: quello dell’ascolto, della misura, della dedizione silenziosa alla bellezza.

Oggi resta nella memoria collettiva l’immagine del Maestro che si inchina all’orchestra, quasi a ringraziare gli strumenti per la loro obbedienza sonora. Resta la sua barba inconfondibile, la sua voce pacata, la sua ironia discreta. Ma soprattutto resta la sua lezione più autentica: che dirigere significa custodire l’armonia, e che la musica, se fatta con verità, è ancora capace di unire gli uomini nel segno dell’emozione e del rispetto.