Questa è una storia di fantasmi. Uno soprattutto, Walyd Issa Khamays, è un peculiare trait d’union tra ’ndrangheta, terrorismo islamico e mafie sudamericane. Da Bovalino a Milano, dalla Macedonia al Brasile, la sua storia criminale si snoda tra passaporti falsi, latitanze e carichi di cocaina trattati per conto dei clan calabresi.

Le «convergenze criminali» tra mafie e terrorismo in Sud America

Il suo nome è riapparso in una recente audizione in Commissione parlamentare antimafia, evocato da Martin Verrier, segretario nazionale per la lotta contro il narcotraffico e la criminalità organizzata del governo argentino. Il contesto è quello di un allarme sulla «convergenza criminale». Verrier parla dei legami storici tra la ’ndrangheta e il Primeiro comando da capital (Pcc) in Brasile: «La stessa 'ndrangheta – dice ai commissari – ha sicuramente una presenza significativa in America Latina: una presenza storica, che anche oggi continuiamo a scoprire per certi versi; penso a Rocco Morabito, con la sua organizzazione sostenuta dall'Argentina; penso anche al caso Maiorano (latitante dell’inchiesta Gentleman della Dda di Catanzaro catturato in Argentina, ndr)».

Verrier parte da questa convergenza per arrivare ad altri rapporti, per certi versi più inquietanti: «Si inizia ad osservare una certa convergenza con il terrorismo, e questo ci preoccupa ancor di più». L’esempio chiama in causa altri fantasmi: Rocco Morabito, il super latitante arrestato in Brasile dopo un’evasione dall’Uruguay e segnalazioni alla frontiera proprio con l’argentina. «Uno dei partner di Morabito – spiega l’alto funzionario – era Waleed Issa Khamays, conosciuto anche come “il Palestinese”».

L’attentato pianificato da Hezbollah in Brasile

Khamays, secondo Verrier, «faceva da nesso con il Pcc» e «aveva collegamenti con Khalil Najib Karam, che al contempo aveva contatti con il centro islamico sciita a Brasilia». La citazione apre un’altra pagina: Karam, figura con buoni addentelati politici ma dal passato oscuro, avrebbe «affiliati» che «provengono dal centro islamico sciita in Brasile». Non è chiaro cosa intenda il relatore con la parola affiliati.

Si sa invece che intorno a quel centro sciita «si è sviluppata l'operazione “Trapiche”, che ha portato all'identificazione di una cellula terroristica che stava organizzando un attentato» in Brasile. Due passaggi e un contesto che crea rapporti tra criminalità organizzata e terrorismo. “Trapiche” è, infatti, un’inchiesta del novembre 2023, condotta dalla Polizia federale brasiliana su segnalazione congiunta dei servizi di intelligence israeliani (Mossad) e statunitensi (Fbi), che avrebbe svelato la pianificazione di un attentato di Hezbollah contro obiettivi ebraici nel Paese.
Alcuni video finiti nell’inchiesta documenterebbero i sopralluoghi dei terroristi nei luoghi da colpire: immagini che mostrano i ricognitori mentre filmano diverse sinagoghe. In totale, la Polizia ha individuato otto obiettivi distribuiti tra il Distretto Federale e lo Stato di Goiás.

La relazione tra crimine organizzato e terrorismo

Non c’è ovviamente un nesso diretto tra le attività della ’ndrangheta in Brasile e la pianificazione dell’attentato, Verrier però sottolinea che «la descritta relazione tra crimine organizzato e terrorismo, spesso considerati come mondi scissi, mette in evidenza che, invece, questi due mondi fanno parte di una stessa realtà, che si sta vedendo fortemente in America Latina».

I terroristi, dice, «hanno un collegamento con i criminali perché questo risulta a loro molto utile. Alla fine, le stesse organizzazioni criminali si vedono così trasformate e adottano tattiche di carattere terroristico. C'è una forte convergenza: abbiamo l'abitudine di mantenere questi universi separati, ma non è così, e l'impatto che si genera sulla stessa regione è significativo».

I rapporti del “Palestinese” legato alla ‘ndrangheta in Brasile

Il rapporto intitolato Hezbollah Terror Plot in Brazil cerca di ricostruire nel dettaglio le ramificazioni operative, finanziarie e politiche del gruppo sciita nella regione. Secondo il documento, uno dei principali sospettati potrebbe appartenere una sezione di Hezbollah specializzata in attentati internazionali. Questa sezione si occupa di traffico di droga e riciclaggio di denaro per finanziare il terrorismo, acquistare armi e sostenere le famiglie dei miliziani. Il fratello dell’uomo è membro del Centro Islamico Sciita di Brasilia. Un’altra pista conduce invece a un brasiliano convertito all’Islam nel 2007, militante del Partito Comunista del Brasile. Il politico sarebbe amico del libanese Khalil Najib Karam, lo stesso dei legami con il centro sciita di Brasilia.
Karam è l’ultimo passaggio prima che l’ombra delle mafie italiane si affacci nell’inchiesta: sarebbe stato, infatti (lo riporta il libro del giornalista investigativo brasiliano Leonardo Coutinho, ndr), socio in Brasile proprio del fantasma giordano Waleed Issa Khamays, ex membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, legato alle mafie italiane — ’ndrangheta e Cosa Nostra — negli anni ’80. Waleed Issa Khamays, soprannominato “il kamikaze”, ha sempre vissuto sul confine dei rapporti con le cosche. E in Brasile il suo nome è legato dal 1992 a un traffico di 600 chili di cocaina diretti in Italia insieme al broker della ’ndrangheta Rocco Morabito. Altro fantasma (per anni) in America Latina.

La ’ndrangheta nel curriculum criminale del “palestinese”

Fantasmi, appunto, con identità spesso sfuggenti. Khamays, in un passato non troppo lontano, ne ha trovata una in Macedonia del Nord, nell’ufficio passaporti del Ministero dell’Interno. Un centro per il rilascio di documenti per narcotrafficanti e mafiosi di mezzo mondo scoperto da Interpol, come raccontava IrpiMedia nel 2021.

Storia che si incrocia con quella di Valid Isa Hmais (come lo scrivono i macedoni), cioè proprio Waleed Issa Khamays. La sua è una parabola criminale che attraversa quarant’anni di traffici, intrecciando ‘ndrangheta, cartelli sudamericani e mafia balcanica.
La sua carriera inizia nella Calabria degli anni Ottanta, a Bovalino, dove i clan tentano di comprargli un permesso di soggiorno falso. È il primo segnale di un legame destinato a consolidarsi.

Alla fine degli anni Ottanta Khamays viene avvistato tra Milano e Roma, in compagnia di mafiosi calabresi e di trafficanti d’armi giordani. Ma è nel 1992 che la sua figura assume contorni più inquietanti.

Arrestato in Brasile per narcotraffico, viene identificato grazie al confronto delle impronte digitali come il killer designato dalle cosche siciliane e calabresi per compiere omicidi eccellenti (ma mai concretizzati) in Italia.

Dietro il suo arresto c’è la storica operazione Fortaleza della procura di Milano, che svela come già nei primi anni 90 Khamays lavorasse fianco a fianco con Rocco Morabito, detto U’ Tamunga, una delle figure chiave del narcotraffico mondiale e punto di riferimento per la ‘ndrangheta della Locride.

I due stabiliscono una base logistica al mercato ortofrutticolo di Milano, da cui si spostano poi in Brasile per organizzare carichi di centinaia di chili di cocaina diretti in Europa. È l’inizio di una partnership criminale che unisce Calabria e Sud America in una rete di traffici globali.

Khamays in Brasile: imprese e narcotraffico

Fuggito dal carcere negli anni Novanta, Khamays scompare dai radar ma non dal business. Si reinventa imprenditore aprendo un’azienda siderurgica e una di costruzioni nel distretto di San Paolo, ma – secondo la Procura federale brasiliana – continua a fungere da ponte operativo tra il Pcc (Primeiro Comando da Capital), il più potente cartello del Brasile, e la ‘ndrangheta.

Un ruolo strategico che gli permette di mantenere contatti simultanei con le mafie europee e sudamericane, adattandosi alle nuove rotte della cocaina.

Nel settembre 2017 la Polizia federale brasiliana lancia l’operazione Brabo, che porta all’arresto di 127 persone coinvolte in un vasto cartello internazionale guidato dal Pcc e dalla mafia serba.
Tra i nomi compare anche quello di Waleed Khamays, segno che poco era cambiato dal 1991: la logistica del narcotraffico dal Brasile verso l’Europa resta saldamente nelle mani delle stesse cellule operative.

L’inchiesta ricostruisce non solo i carichi di cocaina, ma anche una rete di mutua assistenza tra i narcos di diverse origini. Un episodio emblematico risale al giugno 2017, quando Vincenzo Macrì, narcotrafficante di Siderno, viene arrestato in Brasile con un passaporto falso. Khamays invia immediatamente il proprio avvocato di fiducia ad assisterlo in carcere: un gesto che conferma l’antico legame con la Calabria.

Anche l’Italia emerge nel tracciato dei traffici di Khamays. L’indagine Brabo collega il giordano a un carico di 384 chili di cocaina sequestrato a Gioia Tauro il 19 ottobre 2016.
Dalle intercettazioni emerge come Khamays gestisse rotte e contatti tra i cartelli brasiliani e la mafia serba di Darko Šarić, utilizzando le infrastrutture della ‘ndrangheta per lo sbarco e la distribuzione della droga nel Mediterraneo.

Dopo l’operazione Brabo, Khamays diventa latitante. Ma secondo le ricostruzioni investigative, la sua rete di protezione lo porta fino in Macedonia del Nord, dove ottiene un nuovo passaporto.

Nel gennaio 2019, grazie al cosiddetto “passaportificio di Skopje”, assume l’identità dell’albanese Vurmo Takjo, nato nel 1965 a Corizza.
Un nuovo nome, un nuovo volto e un lasciapassare per l’Europa, utile per tornare – si presume – in Brasile e riprendere i contatti con i cartelli.