Sanders e Ocasio-Cortez attaccano Trump per aver ordinato i raid in Iran senza autorizzazione. La Costituzione dà potere di guerra solo al Congresso, ma i precedenti storici creano ambiguità. La Casa Bianca si difende: “Tutto secondo le regole”
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Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez (Foto Ansa)
L’America bombarda. Ma stavolta, più che sull’Iran, le bombe sembrano esplodere nel cuore delle istituzioni statunitensi. Con l’operazione “Martello di Mezzanotte”, ordinata da Donald Trump contro alcuni obiettivi nucleari in Iran, si riaccende un dibattito antico quanto la guerra del Vietnam: chi può davvero decidere se gli Stati Uniti devono entrare in guerra?
Il primo a reagire con durezza è Bernie Sanders, che non ha atteso nemmeno l’alba per denunciare l’azione militare come un «attacco incostituzionale». Lo ha fatto durante un comizio a Tulsa, in
Oklahoma, leggendo in diretta l’annuncio del raid alla sua platea: «Trump ha ordinato di bombardare l’Iran senza alcuna autorizzazione da parte del Congresso».Questo è contrario alla Costituzione, ed è una violazione grave dei principi democratici su cui si basa il nostro sistema». La folla, radunata per sostenere la sua candidatura, ha risposto urlando “No world war!”, in una scena che ricorda le proteste dell’era vietnamita.
Ma il senatore del Vermont è andato oltre il semplice dissenso. Nel suo intervento ha paragonato l’azione di Trump a quella di un “monarca autoproclamato”, sostenendo che «nessun presidente può decidere da solo di trascinare il Paese in guerra solo perché si sveglia male una mattina». Per Sanders, questa forzatura non può restare senza conseguenze politiche e istituzionali.
A fargli eco è Alexandria Ocasio-Cortez, che ha definito su X l’attacco “una chiara e assoluta causa di impeachment”. Il suo ragionamento è lineare: “se un presidente può bypassare il Congresso per decidere un attacco armato, allora il sistema dei pesi e contrappesi è morto. E con esso la democrazia”. La deputata newyorkese ha poi rilanciato una mozione per aprire un'indagine formale in commissione, chiamando a raccolta gli altri colleghi democratici.
Il fronte progressista è quindi deciso a usare l’articolo II, sezione 4 della Costituzione, che consente la rimozione di un presidente per “tradimento, corruzione, o altri gravi crimini e misfatti”, inserendo la violazione dei War Powers tra i presupposti. Una battaglia difficile, ma che potrebbe spostare l’asse della campagna elettorale e rimettere al centro la questione del potere presidenziale in tempo di guerra.
Ma cosa dice davvero la Costituzione degli Stati Uniti? L’articolo I, sezione 8, stabilisce che sia il Congresso ad avere il potere esclusivo di dichiarare guerra. Il presidente, invece, è il comandante in capo delle forze armate, ma non può iniziare un conflitto di sua iniziativa. A disciplinare meglio la questione è il War Powers Act del 1973, approvato proprio per frenare le derive unilaterali viste durante il Vietnam: il presidente può ordinare azioni militari solo in caso di emergenza, ma deve notificare il Congresso entro 48 ore e ottenere un’autorizzazione formale entro 60 giorni.
La Casa Bianca si difende. Il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, in conferenza stampa ha dichiarato: «Il presidente ha rispettato i requisiti previsti, informando i leader del Congresso subito dopo il decollo degli aerei». Formalmente corretto, forse. Politicamente e costituzionalmente, un’altra faccenda.
A complicare il quadro, ci sono i precedenti ambigui. Da Clinton in Serbia a Obama in Libia, fino a Biden in Siria, tutti hanno evitato l’autorizzazione formale del Congresso, appellandosi all’urgenza. Un’abitudine diventata prassi, ma che resta in bilico tra consuetudine e forzatura.
Trump, intanto, rilancia a modo suo: «Mai visti i Repubblicani così uniti. È un momento storico. Il Big Beautiful Bill andrà avanti. MAGA!». La possibilità di un impeachment, però, resta remota: senza l’appoggio di alcuni senatori repubblicani, i numeri al Congresso non ci sono.
Il risultato è uno strappo che lascia il segno: una guerra mai dichiarata, un presidente che agisce da solo, un Congresso umiliato. E un’America che, ancora una volta, si ritrova a combattere non solo all’estero, ma anche con sé stessa.