Duro attacco dell’ex premier italiano che consiglia: «Solo forme di debito comune possono sostenere progetti europei di grande ampiezza»
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Mario Draghi (Foto Ansa)
Oggi, al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, Mario Draghi ha pronunciato uno dei discorsi più duri e lucidi che l’Europa abbia ascoltato negli ultimi anni. L’ex presidente della Banca Centrale Europea e già presidente del Consiglio italiano ha messo l’Unione di fronte alla realtà: il 2025 sarà ricordato come l’anno in cui è definitivamente evaporata l’illusione che la sola forza economica, con i suoi 450 milioni di consumatori, potesse garantire all’Europa peso geopolitico e centralità nelle relazioni internazionali.
Draghi ha ricordato come l’Unione si sia dovuta piegare ai dazi imposti dagli Stati Uniti, il suo più grande partner commerciale e alleato storico, e come lo stesso alleato abbia spinto i Paesi europei ad aumentare la spesa militare in forme e tempi che non riflettono davvero l’interesse dell’Europa. Ha sottolineato che, pur essendo il maggiore contributore finanziario alla guerra in Ucraina e avendo il più forte interesse a una pace giusta, l’Europa è rimasta ai margini dei negoziati. Intanto la Cina ha sostenuto apertamente lo sforzo bellico russo e, approfittando delle barriere imposte dal governo americano, ha riversato in Europa il proprio eccesso di produzione industriale, rendendo ancora più evidente il rapporto sbilanciato con l’Unione. Pechino, ha osservato Draghi, non considera l’Europa un partner alla pari e usa il controllo sulle terre rare per rendere la dipendenza europea sempre più stringente.
Non meno grave è stata, secondo Draghi, l’irrilevanza europea di fronte ad altri scenari drammatici: i bombardamenti sui siti nucleari iraniani, il massacro di Gaza, gli equilibri instabili del Medio Oriente. In tutti questi casi l’Europa si è limitata a fare da spettatrice, priva della capacità di incidere. «È l’illusione della forza economica a cadere – ha detto – e con essa la convinzione che bastasse per contare sulla scena globale».
Draghi non ha messo in discussione i valori fondativi dell’Unione: democrazia, pace, libertà, indipendenza, prosperità. Il problema non è nei principi, che restano intatti, ma nella capacità dell’Unione di difenderli. In un mondo in cui contano la forza militare, la potenza industriale e la sicurezza delle fonti di approvvigionamento, l’Europa appare poco attrezzata. La sua organizzazione politica, nata in un’altra epoca, non riesce più a garantire protezione né prospettive.
Ha ricordato che l’Unione seppe adattarsi negli anni Ottanta e Novanta alla stagione neoliberale, trasformando il mercato comune in mercato unico, diventando attore fondamentale nell’Organizzazione Mondiale del Commercio e rafforzandosi grazie a regole condivise. Ma quel mondo è finito: oggi non è più il tempo della fiducia cieca nei mercati, ma delle grandi politiche industriali e del ritorno dello Stato come protagonista. L’Europa deve riconoscere che, in assenza di nuove forme di integrazione, sarà schiacciata tra le grandi potenze.
Draghi ha parlato con chiarezza della necessità di un salto politico, senza il quale il continente resterà irrilevante. Ha indicato due priorità: il completamento del mercato interno, ancora bloccato da ostacoli e barriere che costano miliardi e rallentano la competitività, e lo sviluppo tecnologico, dove nessun Paese europeo può da solo competere con Stati Uniti e Cina. Ha ricordato che l’industria dei semiconduttori, vitale per la sovranità tecnologica, richiede investimenti di decine di miliardi, mentre in Europa si procede in ordine sparso con progetti piccoli e frammentati, che rischiano di condannarci all’irrilevanza.
La risposta, ha ribadito, non può che essere un’accelerazione dell’integrazione. Servono grandi progetti comuni finanziati con debito comune, perché “debito buono” è quello che finanzia investimenti strategici capaci di generare crescita e autonomia, non quello che alimenta solo consumi immediati. Solo con risorse condivise l’Europa potrà affrontare le sfide della difesa, dell’energia, delle tecnologie dirompenti.
Draghi ha richiamato l’esempio della pandemia, quando l’Europa seppe infrangere tabù storici come quello del debito comune con il programma Next Generation EU, o quando riuscì a varare in tempi record una campagna vaccinale senza precedenti. Ma quelle furono risposte d’emergenza. Oggi, ha ammonito, occorre la stessa determinazione in tempi ordinari, perché il mondo non aspetta i tempi lenti dei compromessi europei.
Il discorso si è chiuso con un appello ai cittadini e ai governi: trasformare lo scetticismo in azione, non sprecare l’occasione di disegnare il futuro comune. L’Europa non può più illudersi di sopravvivere isolata, esposta alla pressione americana, al pericolo russo e al predominio cinese. La sola via di salvezza, ha detto Draghi, è trovare finalmente le condizioni politiche e culturali per realizzare davvero gli Stati Uniti d’Europa. Solo un’Europa unita, sovrana e consapevole della propria forza potrà difendere i suoi valori e garantire pace, libertà e prosperità alle generazioni che verranno.