Covid

Due anni fa la scoperta del paziente uno a Codogno, dal terrore alla voglia di normalità: «Ora ripartiamo»

I centri della bergamasca più colpiti dal virus ricordano le vittime ma guardano al futuro, mentre inchieste cercano di capire se ci siano state responsabilità e sottovalutazioni nella gestione dei primi mesi della pandemia in Lombardia 

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di Redazione
20 febbraio 2022
08:38

Era il 20 febbraio 2020 quando sui media italiani cominciò a circolare la notizia di un 38enne, Mattia Maestri, risultato positivo al Covid nell’ospedale di Codogno, in Lombardia. La notizia fu lanciata dall’Ansa e in pochi minuti fece il giro del paese. Il “paziente uno”, primo italiano ad essere ufficialmente trovato positivo al virus. Le autorità sanitarie si misero a ricostruirne gli spostamenti. L'11 marzo la prima chiusura generalizzata che rinchiuderà il nostro Paese per mesi in una gigantesca zona rossa. 

L’assessore alla Sanità della Regione Lombardia dell’epoca, Giulio Gallera, affermava: «Sono in corso le controanalisi a cura dell'Istituto Superiore di Sanità, l'italiano è ricoverato in terapia intensiva all'ospedale di Codogno i cui accessi al pronto soccorso e le cui attività programmate, a livello cautelativo, sono attualmente interrotti». Fu l'inizio ufficiale della pandemia in Italia, primo caso conclamato di Covid in Europa. 


A due anni di distanza dall'inizio della pandemia a Nembro e ad Alzano Lombardo, i due comuni che con Bergamo sono stati tra i più colpiti dal Covid in Italia, il dolore per i numerosi morti sta lasciando il posto alla voglia di ripartire.

Anche se mai verrà cancellata la memoria di quella tragedia testimoniata dalle immagini delle lunghe file di camion dell'esercito con sopra migliaia di bare, si guarda al futuro facendo tesoro di quel che ha insegnato il passato e tenendo presente che la parola d'ordine è "ricostruzione".

È questo lo spirito con cui i due paesi passati alla ribalta delle cronache assieme all'intera Val Seriana, si preparano ad affrontare un periodo delimitato da due date: il 20 febbraio è il giorno in cui a Codogno, nel lodigiano, venne diagnosticato il primo caso di Coronavirus in Europa, quello del paziente 1, e il 18 marzo è la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia.

Ad Alzano Lombardo, come racconta il sindaco Camillo Bertocchi, «non dimentichiamo quanto è accaduto. Il dolore è ancora forte ma c'è anche una grandissima voglia di reagire. Abbiamo una sorta di libro dei sogni, uno dei quali è quasi realtà». Infatti l'ospedale della cittadina, al centro di uno dei capitoli dell'inchiesta sulla gestione del Covid che la procura di Bergamo si appresta a chiudere, diventerà un polo dedicato alla mamma e al bambino.

L'attuale struttura verrà chiusa gradualmente per essere poi svuotata e demolita. In contemporanea verrà costruito e aperto un nuovo edificio che ospiterà tutte le specialità per i bimbi e le donne di ogni età: dalla pediatria al punto nascita, dalla neuropsichiatria infantile alla ginecologia fino alla geriatria. 

Il virologo Fabrizio Pregliasco, docente all'Università Statale di Milano e presidente dell'Anps, tra le maggiori associazioni di volontariato in campo sanitario, affida all'Adnkronos Salute i suoi ricordi a due anni dallo scoppio della pandemia di Covid-19 in Italia.

«Era il 13 febbraio 2020», una settimana prima che venisse individuato il primo caso di Covid a Codogno, «quando proprio qui nel mio studio - racconta il virologo - ci eravamo riuniti per fare il punto sull'operatività a livello ospedaliero e avevamo fatto un censimento dei materiali. Ne avevamo ancora un po' dall'ultimo rischio Ebola che si era prospettato e - dice con un sorriso - pensavamo “sì dai abbiamo un migliaio di tute, abbiamo le mascherine. Ci siamo”. Tutte cose che poi ci sono bastate per una settimana. Questo è stato», afferma tornando serio. E «ricordo nelle onde della pandemia le onde delle angosce e delle discussioni sui vari temi che dalla carenza di mascherine ai vaccini si sono susseguiti. Quanto stress».

«Ricordo i viaggi sull'autostrada del Sole deserta, da solo, con la mia auto di servizio e i lampeggianti. Questa è stata davvero la cosa più straniante. E a un certo punto la paura. La paura di contagiarsi, perché quello che per tutti era un momento di isolamento per me era invece un periodo di frenesia e di contatti. Sembrava dovesse essere una guerra lampo e invece è diventata una guerra di trincea con tutti gli effetti pesanti della guerra di trincea».

E mentre a Codogno il 17 febbraio ha chiuso il reparto Covid, il momento del ricordo e del dolore per quanto accade nelle settimane successive allo scoppio della pandemia in Lombardia viaggia di pari passo alla voglia di ripartire e alle indagini.

Le inchieste giudiziarie nate attorno alla pandemia stanno per arrivare a un punto fermo e non è escluso un colpo di scena. I pm bergamaschi stanno per tirare le somme dell'indagine in cui ad alcuni tecnici di Regione Lombardia e di Ats è contestato il reato di epidemia colposa. Indagine che riguarda, oltre al presidio ospedaliero di Alzano, anche la mancata istituzione di una zona rossa nella Bergamasca - dove, come ha confermato la consulenza del microbiologo Andrea Crisanti -, il virus circolava già da tempo, fino ad allargarsi al mancato aggiornamento del piano pandemico e alla mancata applicazione su tutto il territorio nazionale di quello esistente.

Capitoli questi ultimi che hanno comportato, non solo l'iscrizione per false informazioni ai pm dell'ex numero due dell'Oms Ranieri Guerra, ma una trasferta dei magistrati a Roma per sentire come testimoni l'ex premier Giuseppe Conte, i ministri Roberto Speranza e Luciana Lamorgese e gli esperti del Cts e dell'ufficio di Prevenzione del ministero della Salute.

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