Il declino nella vendita di auto elettriche segna la caduta dell’imprenditore: profitti giù, reputazione in crisi e Byd che lo sorpassa. La politica lo isola, il mercato lo punisce. Il genio è rimasto senza futuro
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Non è più l’epoca degli “uomini che sussurravano ai razzi”. Elon Musk, una volta sinonimo di futuro, progresso e genialità irriverente, oggi appare come un gigante dai piedi d’argilla. Il crollo delle azioni Tesla — un declino tanto economico quanto simbolico — sembra riflettere la traiettoria discendente del suo stesso mito. Ma la crisi non è solo finanziaria: è culturale, politica, persino esistenziale.
Tesla, per anni punta di diamante della transizione elettrica, si trova ora schiacciata da una concorrenza globale agguerrita e più disciplinata. I cinesi, con BYD in testa, sfornano auto elettriche più economiche, efficienti e sempre più desiderabili. L’Europa, pur a fatica, regge l’urto. Gli Stati Uniti, intanto, sembrano perdere fiducia proprio in colui che aveva promesso di “elettrificare il mondo”. I profitti calano, le vendite stagnano, la fiducia crolla.
Il mercato, si sa, è spietato. Ma nel caso di Musk, l’emorragia è anche reputazionale. Lo stesso stile manageriale che prima incantava — visionario, spregiudicato, disruptive — oggi viene letto come instabile, incoerente, alienante. Licenziamenti di massa, tagli improvvisi, dichiarazioni politiche ambigue (o pericolose) e continue provocazioni sui social hanno creato un clima tossico attorno al suo impero.
Musk non si è limitato a costruire auto o a mandare satelliti nello spazio. Negli ultimi anni ha cercato, più o meno esplicitamente, di plasmare la politica. Ha comprato Twitter (oggi X) convinto di poterne fare la nuova agorà globale, ha flirtato con complottismi e libertarianesimo d’accatto, ha dato sponda a leader populisti e alla nuova destra internazionale. Negli Stati Uniti si è sempre più avvicinato a Donald Trump, che in lui ha trovato un alleato di lusso, capace di dettare l’agenda digitale e di influenzare una parte non trascurabile dell’elettorato. Ma oggi il sodalizio con Trump appare come un abbraccio che trascina a fondo. Il presidente crolla nei sondaggi, complice la crescente incertezza economica e la guerra dei dazi, le gaffe ricorrenti e un’America stanca della politica del risentimento.
Elon Musk oggi si trova in una terra di mezzo: troppo compromesso per tornare ad essere il guru dell’innovazione apolitica, troppo instabile per diventare un vero leader politico. Sopportato — più che appoggiato — da parte del governo statunitense, soprattutto da una frangia di repubblicani che vedono in lui un simbolo, ma non un alleato affidabile, è anche malvisto da altri ambienti conservatori che lo considerano un elemento divisivo, inaffidabile e imprevedibile.
Il suo futuro? Incerto come non mai. Gli investitori cominciano a voltargli le spalle. Alcuni partner strategici lo evitano. Il mondo della tecnologia, una volta suo regno, inizia a guardare altrove: verso nomi meno appariscenti ma più stabili, meno teatrali ma più concreti.
E mentre il razzo della sua reputazione fatica a decollare, Elon Musk potrebbe riscoprire una verità antica, banale ma spietata: anche il visionario più potente non è nulla senza fiducia. E quella, una volta persa, non si compra nemmeno con un miliardo di dollari o una colonia su Marte. E infatti nel 2024, Tesla ha registrato un fatturato di 77,07 miliardi di dollari, con un utile netto rettificato in calo del 23% rispetto all’anno precedente. Le consegne globali di veicoli sono state di 1,78 milioni, mancando l’obiettivo di 1,8 milioni e segnando il primo calo anno su anno nella storia dell’azienda. L’utile netto del gruppo dell’auto elettrica è crollato del 71% a 409 milioni di dollari.
La concorrenza, in particolare dalla cinese BYD, ha intensificato la pressione su Tesla. BYD ha superato Tesla nelle vendite di veicoli elettrici in Europa ad aprile 2025, con 7.231 immatricolazioni contro le 7.165 di Tesla.