I tre agenti, in servizio al commissariato Salario-Parioli, sono finiti in carcere insieme a un complice. Le indagini partite dalla denuncia delle vittime: tra i reati contestati anche la perquisizione illegale
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Una finta perquisizione, tre poliziotti in divisa, una cassaforte da svuotare. Quella che avrebbe dovuto essere un’operazione di routine si è trasformata in un colpo da 35.900 euro, compiuto da chi – almeno sulla carta – avrebbe dovuto far rispettare la legge. E invece, secondo la procura di Roma, l’avrebbe violata in modo grave e premeditato. A finire in carcere sono stati tre agenti della Polizia di Stato, in forza al commissariato Salario-Parioli, e un giovane albanese, considerato loro complice.
I fatti risalgono al 23 marzo scorso, quando i tre poliziotti si sono presentati alla porta di un appartamento in via Carmelo Maestrini, nel quartiere Mostacciano, fingendo di dover effettuare una perquisizione. I proprietari, ignari del piano criminale in corso, li hanno fatti entrare. A quel punto è scattata la trappola.
Uno degli agenti ha trattenuto le due vittime nel soggiorno, mentre gli altri due si sono diretti nella camera da letto. Qui, approfittando del momento, hanno recuperato le chiavi della cassaforte, l’hanno aperta e hanno prelevato il denaro custodito all’interno: quasi 36mila euro in contanti. Poi, con apparente nonchalance, hanno abbandonato l’appartamento. Nessun verbale, nessuna spiegazione, nessun documento ufficiale: solo il bottino e la fuga.
Ma il colpo non è rimasto impunito. A far partire l’indagine è stata la denuncia delle vittime, insospettite dal comportamento anomalo degli agenti e dalla mancanza di qualsiasi notifica ufficiale. La Squadra Mobile di Roma, coordinata dalla procura capitolina, ha ricostruito ogni fase dell’operazione fantasma, raccogliendo riscontri solidi.
Determinanti, in questo senso, sono stati i filmati di alcune telecamere di videosorveglianza presenti nei pressi dell’abitazione e l’analisi dei tabulati telefonici degli indagati. Incrociando i dati, gli investigatori sono riusciti a ricostruire i movimenti sospetti dei poliziotti e del loro presunto complice, identificandoli uno a uno. «Sono emersi gravi indizi a carico dei quattro per il reato di rapina consumata all’interno di un’abitazione», ha dichiarato in una nota il procuratore Francesco Lo Voi. Parole nette, che non lasciano spazio a equivoci. Ma Lo Voi ha anche voluto sottolineare la fiducia nella Polizia di Stato, ricordando «il lavoro costantemente svolto con lealtà e dedizione nella città di Roma».
Un modo per distinguere tra chi indossa la divisa con onore e chi invece – come sembrano indicare le accuse – l’ha sfruttata per arricchirsi illecitamente. Non a caso, l’inchiesta è stata portata avanti proprio da altri agenti, colleghi degli indagati, che non hanno esitato a indagare su quanto accaduto e a fornire elementi utili per far emergere la verità.
Tra i reati contestati ai tre agenti, oltre alla rapina aggravata in concorso, c’è anche quello di perquisizione illegale: l’azione non era autorizzata da alcun magistrato né supportata da un mandato, e rappresenta – se confermata – una grave violazione delle regole che disciplinano le attività di polizia giudiziaria.
Il caso, destinato a suscitare polemiche, riaccende il dibattito sull'integrità all’interno delle forze dell’ordine e sull’importanza dei controlli interni. Perché quando a tradire sono gli stessi uomini chiamati a far rispettare la legge, il danno non è solo per le vittime dirette, ma per l’intera comunità.