Nei corridoi del Transatlantico c’è chi ormai lo chiama “Italo il veggente”. E non per ironia. Il problema, stavolta, non è solo cosa Italo Bocchino ha detto, ma quando. Perché quando il consigliere alla comunicazione del meloniano Francesco Acquaroli ha fatto riferimento a un’inchiesta che avrebbe travolto Matteo Ricci, candidato del centrosinistra alle Marche, ancora non c’era alcun avviso di garanzia. Nessuna notizia ufficiale. Nessun fascicolo pubblico. Eppure lui, con sguardo soddisfatto e linguaggio da chi sa, ha messo la bomba sul tavolo.

Non credo che l’avversario sarà Ricci”, ha dichiarato al Foglio il 10 giugno. “Le notizie sull’inchiesta ‘Affidopoli’ hanno un loro peso”. Peccato che l’indagine, quella vera, con tanto di nome e atti della Procura di Pesaro, emerga ufficialmente settimane dopo. Quando il candidato del campo largo riceve – per davvero – un avviso di garanzia. E allora qualcuno inizia a chiedersi: Bocchino, guru della destra post-missina, ha fatto una profezia fortunata o sapeva qualcosa in anticipo?

Lui, intanto, se la gode. Presenta il suo libro “Perché l’Italia è di destra” proprio a Pesaro, nella sala dove Ricci è stato presidente del Consiglio provinciale per anni. Un gesto simbolico, chirurgico. E lì, mentre sfoglia il volume, lancia battutine e frecciate: “Dovrei spolverare la poltrona come Berlusconi con Travaglio, ma vi risparmio la scenetta”. Poi affonda: “Auguro a Ricci di non finire nell’inchiesta, ma la condanna politica è certa”. Applausi. Risate. E più di un sopracciglio alzato.

Perché il sospetto, ora, è pesante: come faceva Bocchino a sapere? A sinistra qualcuno insinua: forse c’è stata una fuga di notizie, forse certi ambienti giudiziari parlano volentieri con certe orecchie. Alessia Morani, pesarese, ex deputata Pd e oggi in prima linea nella campagna per Ricci, non ci sta: “Bocchino ha avuto problemi con la giustizia e all’epoca si dichiarava garantista. Ora lo è ancora? O il garantismo si applica solo ai propri amici?”.

La domanda non è oziosa. Perché il garantismo, in questa storia, rischia di essere travolto da un’onda di cinismo politico. Matteo Ricci, per ora, tace. “Non voglio commentare”, ha detto al Corriere. Ma il clima è velenoso. I meloniani sanno che un avviso di garanzia, anche se non implica colpevolezza, può diventare un macigno in campagna elettorale. E il tempismo con cui è arrivato – appena dopo i sorrisetti di Bocchino – solleva interrogativi.

Non è la prima volta che un’indagine incrocia un voto, e non sarà l’ultima. Ma qui la coincidenza appare chirurgica. Anche perché l’indagine "Affidopoli", nata da presunte nomine irregolari durante l’ultimo mandato da sindaco di Ricci, arriva in un momento politicamente esplosivo. E a sfruttarla è proprio Bocchino, ex enfant prodige del tatarellismo, oggi regista ombra di molte operazioni mediatiche della destra.

Per alcuni è solo un’ottima lettura dei segnali. Per altri è l’indizio di un circuito opaco tra giustizia e informazione. Di certo c’è che l’avviso è arrivato. E che Bocchino aveva già preparato lo sgabello, la battuta e la copertina.

Il resto – veggenza, fortuna o manina amica – lo sapremo presto. Forse.