Non è più tempo di ambiguità. Da quattro giorni Israele e Iran sono in guerra aperta a colpi di missili. E ora l’asticella si alza: nel mirino dello Stato ebraico è finito direttamente Ali Khamenei, la guida suprema della Repubblica islamica. «Non è intoccabile», ha dichiarato una fonte israeliana al Wall Street Journal, confermando che per Tel Aviv il leader iraniano è ufficialmente un bersaglio. Non è solo propaganda. Secondo i servizi segreti israeliani, l’ayatollah avrebbe ordinato in prima persona gli attacchi contro centri abitati in territorio israeliano. E la ritorsione, avvertono, potrebbe essere proporzionata.

Il primo a minacciare esplicitamente è stato il ministro della Difesa israeliano Israel Katz, seguito dal capo del Mossad David Barnea, dal generale Eyal Zamir e dai vertici dell’IDF. «Se Khamenei continuerà a lanciare missili contro la popolazione israeliana, Teheran andrà in fiamme», ha detto Katz. Parole pesanti, che hanno fatto rapidamente il giro del mondo.

Negli Stati Uniti, però, qualcuno ha provato a mettere un freno. Secondo due fonti dell’amministrazione americana sentite da Axios e WSJ, Donald Trump – che pure ha sempre mantenuto una linea durissima sull’Iran – avrebbe posto il veto a un’operazione israeliana volta a eliminare fisicamente Khamenei. Il premier israeliano Netanyahu si è affrettato a smentire: «Ci sono così tante fake news su conversazioni che non sono mai avvenute che non commenterò. Ma è tutto falso», ha dichiarato a Fox News.

Il sospetto che Israele abbia davvero valutato l’eliminazione mirata della guida suprema è però confermato da un altro dettaglio. Fonti interne all’intelligence israeliana, citate anche da Iran International, riferiscono che Khamenei sarebbe stato trasferito poche ore dopo l’inizio dei bombardamenti israeliani in un bunker sotterraneo ultra-sorvegliato nel complesso militare di Levizan, a nord-est di Teheran. Con lui ci sarebbero tutti i membri della sua famiglia, incluso il secondogenito Mojtaba, considerato il suo delfino politico.

Una fuga preparata? O forse un “lasciapassare” concesso da Israele per dare un’ultima chance al regime? Sempre secondo Iran International, Gerusalemme avrebbe intenzionalmente evitato di colpire il bunker per offrire a Khamenei un’uscita di scena meno traumatica. Il messaggio sarebbe chiaro: fermate il programma nucleare, o sarà guerra totale.

Non è un caso se nelle ultime ore è circolata anche la voce di un possibile esilio. Ali Asghar Hejazi, vice capo di gabinetto della guida suprema, sarebbe in trattativa con funzionari russi per trovare una via d’uscita dall’Iran per sé e per la sua famiglia. Una rotta che potrebbe seguire anche lo stesso Khamenei, nel caso la situazione precipitasse.

Intanto si gioca un’altra partita, più oscura: quella sulla salute di Ali Shamkhani, il potentissimo consigliere politico della guida suprema. Venerdì, alcune fonti parlavano della sua morte in seguito a un raid israeliano su Teheran. La tv di Stato iraniana aveva subito ridimensionato la notizia: solo ferito. Ora Noornews, agenzia vicina ai Pasdaran, assicura che Shamkhani è ricoverato in condizioni «relativamente stabili». Ma nessuna immagine è stata diffusa, e i sospetti restano.

L’era degli ayatollah, dicono diversi analisti, potrebbe davvero essere arrivata a un punto di svolta. Israele punta a decapitare i vertici della Repubblica islamica, indebolendo il regime dall’interno, senza dover scatenare una guerra regionale su vasta scala. Il progetto è ambizioso, ma rischia di trasformarsi in un’escalation incontrollabile.

Per ora, Washington resta a distanza. Gli Stati Uniti continuano a difendere Israele da missili e droni, ma evitano di coinvolgersi direttamente nell’operazione “Rising Lion” lanciata venerdì da Gerusalemme. Il timore, non detto, è di restare impantanati in un conflitto che potrebbe travolgere tutto il Medio Oriente.

E mentre Netanyahu giura che non ci sono «negoziati segreti» con Trump, il mondo guarda con crescente inquietudine a quella porta blindata nei sotterranei di Levizan. Dentro, c’è un uomo che per 35 anni ha tenuto l’Iran sotto controllo. Ma ora, per la prima volta, sembra dover pensare alla fuga.