Dopo la sonora bocciatura del decreto sicurezza arrivata dalla sezione penale, la Corte di Cassazione torna a mettere in discussione un pilastro dell’attuale politica migratoria del governo Meloni. Questa volta è la sezione civile a sollevare pesanti dubbi sul protocollo Italia-Albania, che consente di trasferire e trattenere sul suolo albanese cittadini stranieri intercettati in mare o già presenti nei centri per il rimpatrio italiani. Non è un parere vincolante, ma il documento, anticipato da Il Manifesto, ha un peso politico e giuridico notevole, perché fa emergere gravi contrasti con la Costituzione, le direttive europee e la Cedu.

Il dossier della Cassazione non è un esercizio accademico, ma una raccolta di osservazioni basate su casi concreti già discussi in aula. Le eccezioni mosse dai legali nei primi ricorsi contro i trattenimenti nei centri albanesi, accolte in più occasioni dai giudici, vengono qui sistematizzate. In diversi casi, i migranti portati nei centri di Gjadër e Shëngjin sono stati rimpatriati in Italia e liberati dopo pochi giorni, tra le proteste della maggioranza. Ora due dei quesiti centrali sono stati formalmente sottoposti alla Corte di giustizia europea, che dovrà esprimersi sulla legittimità complessiva del protocollo.

La parte più dirompente del documento riguarda però la recente estensione dei trasferimenti ai migranti trattenuti nei Cpr italiani. Una novità introdotta in silenzio, senza che esistano provvedimenti motivati, scritti e appellabili. Un vuoto normativo che la Cassazione giudica incompatibile con il principio di legalità e con le garanzie costituzionali. I giudici denunciano la totale assenza di criteri trasparenti: non è chiaro chi può essere trasferito, in base a quali requisiti, né in che modo le persone coinvolte possano opporsi.

A tutto ciò si aggiunge un ulteriore punto critico: la discrezionalità amministrativa incontrollata, che apre la porta ad abusi. E anche qui i giudici osservano che manca una cornice giuridica solida, cosa che rende la prassi attuale vulnerabile a ricorsi e, molto probabilmente, destinata a essere smontata nei tribunali. Un altro passaggio giudicato critico riguarda la gestione delle richieste d’asilo. Il decreto attuativo stabilisce che, anche se una persona presenta domanda di protezione internazionale, debba comunque restare nei centri albanesi se la richiesta appare strumentale, ovvero "presentata al solo scopo di ritardare l'espulsione".

Ma la Corte di giustizia UE ha già vietato questo approccio, ricordando che ogni caso deve essere valutato individualmente e che l'onere della prova spetta alle autorità. Applicare una procedura standardizzata, spiega la Cassazione, viola il diritto europeo e rischia di trasformare il diritto d’asilo in un mero atto formale senza valore reale. Il protocollo Italia-Albania mette a rischio anche altri diritti fondamentali, osserva la Suprema Corte. In particolare, viene richiamato il diritto alla salute, garantito dall’articolo 32 della Costituzione, che nei centri albanesi potrebbe essere compromesso. Il protocollo prevede che solo in casi eccezionali sia consentito il ricovero in strutture ospedaliere, mentre non è prevista una seconda visita medica per accertare l’idoneità al trattenimento.

Gravi criticità emergono anche rispetto al diritto alla vita familiare e relazionale. La Corte EDU ha chiarito che gli Stati non devono solo astenersi da azioni che ostacolino la vita familiare, ma hanno obblighi positivi di tutela. Il trasferimento forzato in un Paese terzo, senza possibilità di visita, contatto o supporto, è una lesione evidente di quel diritto, già riconosciuto come essenziale da più sentenze europee.

Due le questioni già rimesse all’esame della Corte di giustizia europea. Primo: è compatibile con il diritto UE il trasferimento verso un Paese terzo, non membro, di migranti sottoposti a procedure di espulsione? Secondo: se anche fosse legittimo il trasferimento, può avvenire anche in presenza di una richiesta d’asilo? Per i giudici italiani la risposta è negativa: il diritto d’asilo implica la possibilità di accedere fisicamente al territorio dello Stato cui ci si rivolge. Senza questo accesso, il diritto viene svuotato.

Le conseguenze immediate sono già visibili. In almeno due casi i giudici hanno annullato il trattenimento in Albania. Di fronte a queste pronunce, ci si sarebbe aspettati uno stop ai trasferimenti, anche solo per cautela. Invece, il governo è andato avanti. Quindici nuove persone sono già state inviate a Gjadër, malgrado i precedenti. Un braccio di ferro destinato a durare, e che rischia di finire per l’ennesima volta davanti ai tribunali internazionali.

Durissime le opposizioni. Il Movimento 5 Stelle attacca: «Il governo parlerà di toghe rosse, ma i numeri parlano chiaro: un miliardo speso per un’operazione che ha coinvolto poche decine di persone, a fronte di oltre 250mila sbarchi». Seguono i Verdi, con Angelo Bonelli che parla di “seconda tegola sul governo” e accusa Meloni di voler «smantellare ogni organismo di garanzia». Per il Pd, il capogruppo al Senato Francesco Boccia chiede rispetto per la magistratura e accusa la maggioranza di voler «delegittimare chi difende i diritti costituzionali». Il messaggio della Cassazione è chiaro: le regole valgono per tutti, anche per lo Stato. E se lo Stato le ignora, sarà la giustizia – italiana o europea – a ricordarglielo.