Da star dei social a bersaglio morale della repressione egiziana, nel tempo di un passo di danza. Si chiama Linda Martino, almeno così si fa chiamare, e fino a poche settimane fa era una celebrità dei club del Cairo e delle notti di Giza. Due milioni di follower su Instagram, centinaia di video tra movimenti sinuosi e abiti di scena, Linda era una vera icona della danza orientale, con fanpage, coreografie virali e contratti importanti nei locali del divertimento notturno.

Oggi Linda è chiusa in una cella, in un carcere egiziano. L’accusa? «Offesa alla morale pubblica», una definizione vaga e potente che in Egitto basta a rovinarti la vita. A incastrarla sarebbero stati i video dei suoi balletti – gli stessi che l’hanno resa famosa – e un videoclip musicale diventato virale e poi rimosso, accusato di «esibire zone sensibili del corpo» e «incitare al vizio».

Linda è una cittadina italiana, almeno per la Farnesina. È nata in Egitto, ma ha origini venete e si è sposata con un nostro connazionale. Da sempre si è definita «più italiana che egiziana». Eppure oggi le autorità del Cairo la considerano una loro cittadina e rifiutano qualsiasi forma di collaborazione diplomatica. Una posizione che complica – e non poco – ogni tentativo di assistenza consolare.

Ma la sua storia non è isolata. Anzi, si inserisce in un clima che da almeno due anni vede il governo egiziano portare avanti una sorta di crociata moralista contro le danzatrici del ventre. Il caso più celebre è quello di Gawhara, nome d’arte della bielorussa Katerina Andreeva, condannata a un anno di lavori forzati. C’è poi Safinaz, armena, finita sotto processo per aver danzato con un costume che riproduceva la bandiera egiziana. E ancora Dosa e Hannin, accusate anche loro di «offendere la morale» per aver condiviso le loro performance online.

I tratti comuni sono sempre gli stessi: origini straniere, grande visibilità mediatica, successo tra i giovani. Tutto ciò che infastidisce chi oggi controlla, filtra, giudica. Il governo di Al Sisi non nasconde l’uso politico della «decenza pubblica», e negli ultimi anni ha rafforzato i poteri delle forze dell’ordine per intervenire su tutto ciò che viene ritenuto «socialmente pericoloso». Ballare, mostrare un centimetro di pelle in più, postare un video in costume: può bastare.

Secondo alcune fonti vicine a Linda, la danzatrice aveva già intuito di essere nel mirino. Aveva annunciato di volersi ritirare dalle scene e da tempo compariva meno sui social. Ma il provvedimento era già in arrivo: arresto, detenzione preventiva, in attesa del processo. La misura è stata rinnovata per altri quindici giorni. E le accuse non lasciano spazio a interpretazioni leggere: «atteggiamenti provocatori», «tecniche di seduzione» e «violazione deliberata dei valori sociali egiziani».

L’ambasciata italiana al Cairo ha chiesto chiarimenti, invano. Anche perché, in assenza di una doppia cittadinanza ufficialmente riconosciuta, l’Egitto si rifiuta di considerarla sotto tutela consolare. La Farnesina resta in contatto con la famiglia, e segue il caso con attenzione. Ma nel Paese dove Giulio Regeni è diventato simbolo di verità negate, la cautela è massima.

Intanto, mentre le autorità egiziane passano al setaccio ogni movimento, ogni danza, ogni sguardo ritenuto ambiguo, Linda resta in cella. Colpevole, pare, di aver mosso troppo bene i fianchi, nel posto sbagliato.