Qualche giorno fa, l’ex ministro dell’Economia iraniano Ehsan Khandouzi ha scatenato allarme sui mercati internazionali con un post su X: «Da domani, per cento giorni, nessuna petroliera o nave gasiera potrà attraversare lo Stretto di Hormuz senza l’approvazione dell’Iran». Pur non essendo una dichiarazione ufficiale del governo, le parole di Khandouzi pesano. Un blocco nel punto di transito del 30% dell’energia fossile mondiale potrebbe far schizzare il prezzo del petrolio verso i 100 dollari al barile, con conseguenze globali.

Il rischio invisibile per l’Italia

Oltre agli effetti sui prezzi energetici, lo scenario preoccupa profondamente anche l’economia italiana. Negli ultimi anni, l’export made in Italy ha trovato nel Golfo Persico uno sbocco sempre più importante. La stabilità di quest’area è oggi vitale per le esportazioni tricolori. Con un rallentamento globale in corso e partner tradizionali in difficoltà, il mercato arabo è diventato un’ancora di salvezza per i produttori italiani.

Boom tricolore tra Dubai e Riad

Nel 2024, le vendite di beni italiani negli Emirati Arabi Uniti sono cresciute di 1,27 miliardi di euro (+19%), mentre l’export verso l’Arabia Saudita è aumentato addirittura di 1,4 miliardi (+30%). Buoni risultati anche in Qatar e Oman. Se si escludono Turchia e Kirghizistan — usate in parte per eludere le sanzioni contro la Russia — l’Arabia Saudita è oggi il mercato in maggiore espansione per l’Italia. Senza questi flussi, il quadro complessivo dell’export nazionale sarebbe molto più negativo.

La fragile tenuta dell’export italiano

I risultati positivi nel Golfo compensano i dati negativi in mercati chiave: nel 2024, l’Italia ha già registrato un calo dell’11,7% delle esportazioni verso la Cina, con Germania, Francia e Stati Uniti in stagnazione o inasprimento delle barriere commerciali. Washington, in particolare, ha portato i dazi a livelli mai visti dal 1940. In questo contesto, i petrodollari del Golfo sono essenziali per evitare un crollo dell’export italiano.

Hormuz e Mar Rosso sotto assedio

Ma il clima nella regione si fa sempre più incandescente. Marco Forgione, direttore del Chartered Institute of Export and International Trade di Londra, segnala un aumento del 60% dei costi assicurativi per transitare dallo Stretto di Hormuz, anche per i portacontainer. Nei porti degli Emirati si formano code di navi, mentre disturbi ai segnali satellitari — probabilmente causati dal conflitto in corso — hanno già provocato una collisione tra due petroliere. «Viviamo una fase di tensioni simultanee a Hormuz e nel Mar Rosso, proprio mentre gli Stati Uniti rimettono in discussione le regole del commercio globale», spiega Forgione. «Questa è una minaccia esistenziale per l’economia mondiale».