Il 25 aprile, in Italia, si celebra la Liberazione. Dalle dittature, dai manganelli, dalla censura, dalla paura. Dall’altra parte dell’oceano, nello stesso giorno, una giudice americana viene trascinata via con l’accusa di non aver obbedito. Arrestata non per corruzione, non per abuso d’ufficio, non per reati. Per una sentenza scomoda.

Si chiama Hannah Dugan, giudice della contea di Milwaukee, Wisconsin. L’accusa: avrebbe aiutato un migrante, Eduardo Flores Ruiz, a eludere un arresto da parte degli agenti federali, ritardando l’intervento. Tradotto: ha fatto il suo lavoro, applicando un principio basilare del diritto. Ma oggi, nella nuova America, il diritto è una variabile politica. E chi si oppone finisce in carcere.

A firmare l’ordine d’arresto non è un giudice superiore. È Kash Patel, il nuovo capo dell’Fbi nominato da Donald Trump. Un nome che non suona come garanzia di imparzialità, ma come minaccia a orologeria. Ex procuratore, già braccio destro del Pentagono, Patel è diventato il simbolo dell’asservimento della giustizia all’ideologia trumpiana.

È l’autore della saga per bambini The Plot Against the King, in cui Trump è il sovrano perseguitato dal deep state. È l’ideologo della “fedsurrection”, secondo cui l’assalto al Campidoglio sarebbe stato organizzato dall’Fbi per sabotare Trump. È anche produttore del remix dell’inno americano cantato dal “coro carcerario J6” con inserti vocali di Trump che recita il giuramento alla bandiera. In pratica: ideologo, propagandista, marketer e ora direttore dell’intelligence federale.

La nuova giustizia americana ha un volto, una voce, una maglietta con su scritto MAGA e un prezzo al dettaglio. Perché Patel vende anche merchandising personalizzato con il marchio K$H. Più che un agente federale, un influencer col distintivo.

E adesso che è a capo dell’Fbi, la sua prima mossa è l’arresto di una giudice. Non un gesto simbolico. Un colpo di stato in punta di badge. Perché non è solo una persecuzione personale: è un messaggio a tutti gli altri togati, pubblici ministeri, avvocati, agenti. “O con noi, o contro di noi. E se sei contro, sarai punito.”

Denver Riggleman, ex deputato repubblicano, lo dice senza mezzi termini: “Patel è la scelta più pericolosa mai fatta da Trump”. Perché non ha freni. Perché crede davvero alle teorie che propaga. Perché ha giurato fedeltà non alla Costituzione, ma a un uomo. E ora può usarla per distruggere chiunque si metta in mezzo.

Sui social la fanbase MAGA è in estasi. “L’Fbi si merita Kash Patel”, scrive una sostenitrice del 6 gennaio. “Questa è la punizione che aspettavamo.” E ancora: “Quanti agenti dell’Fbi erano presenti quel giorno? Lo scopriremo presto.” I deputati repubblicani minacciano l’attuale direttore uscente, Christopher Wray, con toni da thriller distopico: “Non si allontani da Washington. La sua presenza sarà richiesta.”

Non siamo più nella politica. Siamo nel regolamento di conti. Nella vendetta come programma di governo. Nell’arresto preventivo come nuova dottrina costituzionale. E se il bersaglio oggi è una giudice del Wisconsin, domani potrà essere un giornalista, un medico, un professore, un cittadino qualsiasi.

Il 25 aprile noi ricordiamo il prezzo della libertà. Loro, laggiù, ci ricordano quanto in fretta si possa perderla. Uno slogan alla volta. Un arresto alla volta. Un Kash Patel alla volta.