Vishwash Kumar Ramesh, cittadino britannico di origine indiana, era seduto al posto 11A accanto al portellone d’emergenza. Forse è stato questo a salvarlo. Ustionato ma cosciente ricorda ogni istante
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«Non so spiegare come sia accaduto. Un secondo ero seduto, il secondo dopo tutto era avvolto dal fuoco». Con il volto segnato dalle ustioni, Vishwash Kumar Ramesh parla con voce roca dal letto d’ospedale dell’ospedale civile di Asarwa, in India. Ha quarant’anni, vive a Londra da più di vent’anni con moglie e figli, e oggi è l’unico sopravvissuto del disastro aereo che ha sconvolto Ahmedabad: un Boeing della Air India è precipitato poco dopo il decollo, schiantandosi contro un edificio e provocando la morte di oltre 240 persone.
Lo chiamano il "miracolato", ma lui quel termine non lo ama. Non riesce a darsi una spiegazione. «Ho sentito un rumore strano, come un boato. Poi un tonfo fortissimo. E le fiamme dappertutto». Era seduto accanto al fratello, Ajay Kumar Ramesh, 45 anni, con cui era tornato in India per una breve visita ai parenti. Avrebbero dovuto rientrare insieme nel Regno Unito quella mattina. Ajay, come tutti gli altri passeggeri, non ce l’ha fatta.
Lui era seduto al 11A, uno dei posti più vicini all’uscita d’emergenza. «Ho slacciato la cintura, non so nemmeno come. Mi sono trovato in piedi, le gambe mi reggevano, ma attorno a me era tutto fuoco e fumo. Ho cominciato a correre, istintivamente. Non avevo una direzione. Solo la paura». Nelle tasche aveva ancora la carta d’imbarco, la mostrava ai soccorritori come se fosse una prova di esistenza. Intorno, racconta, c’erano corpi, detriti, il relitto in fiamme. «Ho visto morire un’hostess davanti a me. C’era una coppia anziana. Nessuno si muoveva più».
A bordo dell’aereo, partito da Ahmedabad e diretto a Londra con scalo a Delhi, c’erano 241 persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio. L’impatto è avvenuto pochi istanti dopo il decollo, quando il velivolo è precipitato tra le case di un quartiere densamente abitato, centrando in pieno un ostello per studenti di medicina. Cinque giovani, che dormivano in una delle stanze all’ultimo piano, sono morti nell’esplosione.
Secondo quanto riferisce Vishwash, già in cabina alcuni passeggeri avevano notato qualcosa di strano. «Dopo il decollo sembrava che l’aereo avesse perso potenza. Le luci verdi e bianche si accendevano e spegnevano, e c’era un rumore che non avevo mai sentito. I piloti hanno cercato di risalire, ma l’aereo ha cominciato a scendere in picchiata». Poi lo schianto, violentissimo, seguito dalle fiamme e da un’esplosione alimentata dal carburante per il volo intercontinentale.
Quando si è trovato fuori dal relitto, Vishwash ha camminato pochi metri prima di accasciarsi. «C’era qualcuno nel fumo, non so chi. Mi ha preso per un braccio e mi ha portato via. Credo fosse un soccorritore. So solo che poi ero in ambulanza». Le ustioni più gravi le ha sul braccio e sulla parte sinistra del volto. Ha anche ferite da taglio al petto e ai piedi, ma è cosciente, riesce a parlare e ha chiesto di chiamare subito la moglie.
Ora si trova sotto osservazione, in una stanza sorvegliata. I medici parlano di "condizioni stabili", ma serviranno giorni per valutare gli effetti psicologici. Lui stesso dice che ogni volta che chiude gli occhi sente ancora quel rumore, quell’odore, quella luce arancione che avvolgeva tutto. «Non so se riuscirò a dormire mai più».
La famiglia, già in volo da Londra per raggiungerlo, ha chiesto di mantenere il riserbo. Il padre, che vive ancora in India, è sotto shock per la morte del figlio maggiore. La tragedia ha colpito anche la comunità indiana in Gran Bretagna, dove i due fratelli erano molto conosciuti nel quartiere di Southall, a ovest di Londra.
Intanto le autorità indiane hanno aperto un’inchiesta per accertare le cause dell’incidente. Le scatole nere sono state recuperate tra i rottami e saranno analizzate nei prossimi giorni. Le prime ipotesi parlano di un’avaria improvvisa al motore destro, ma nulla è ancora ufficiale. La compagnia ha espresso cordoglio alle famiglie delle vittime, promettendo risarcimenti e assistenza legale.
Resta un solo sopravvissuto. E un posto, l’11A, diventato simbolo del destino. "Ringrazio gli dei per avermi lasciato vivo", ha detto Vishwash con un filo di voce. "Ma io, da quel volo, non sono mai davvero sceso".