La Procura di Roma ne chiede il rinvio a giudizio. L’accusa: alterare i match con una squadra armata di tecnologia nascosta
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Per mesi, forse anni, Aleksey Viktorovich Medkov si è mosso come un’ombra tra i tornei di tennis più prestigiosi del pianeta. Stati Uniti, Australia, Europa: sempre sugli spalti, mai troppo in vista, eppure sempre nel posto giusto al momento giusto. Non per tifare un campione, ma per alimentare un giro di scommesse online clandestine da decine di milioni di euro.
Il suo nome era già noto all’Association of Tennis Professionals, che lo aveva inserito in una lista ristretta di “wanted”, personaggi considerati un pericolo per l’integrità del gioco. Ora la Procura di Roma, con il pm Mario Dovinola, chiede il suo rinvio a giudizio: «Esercitava abusivamente l’organizzazione delle scommesse sulle partite internazionali di tennis». Un’accusa che si intreccia con un sospetto ancora più inquietante: la gestione di una rete di “disturbatori” a bordo campo, pronti a influenzare l’andamento dei match.
Il 12 maggio 2022, al Foro Italico di Roma, la Guardia di Finanza lo sorprende sugli spalti del Centrale Nicola Pietrangeli. Nessun biglietto in tasca. In mano uno smartphone con l’app “Dtmflite” già aperta, piattaforma sconosciuta all’elenco ufficiale dei concessionari autorizzati in Italia. Un’app che permetteva a chi riceveva un link di scommettere in tempo reale, sfruttando informazioni che viaggiavano più veloci della diretta televisiva.
Nello zaino di Medkov, i militari trovano anche due dispositivi bluetooth di controllo remoto e otto carte di credito. Interrogato, ammette senza esitazione: era lì per scommettere. Uno degli addetti alla sicurezza dell’Atp conferma: «Lo conosciamo bene. Dedito in maniera continuativa e professionale alle scommesse sportive online».
Dai dossier consegnati dall’Atp agli inquirenti emerge un quadro che sembra uscito da un copione cinematografico. Uomini e donne disposti tra il pubblico con telefoni, webcam, auricolari e persino occhiali spia. Riprendono ogni scambio, registrano i tempi, trasmettono i dati in diretta a un centro di controllo. In certi casi, disturbano il gioco con rumori improvvisi, movimenti, o piccole distrazioni studiate per far sbagliare un servizio o incrinare la concentrazione di un tennista.
La macchina organizzativa, secondo gli investigatori, era orchestrata a distanza da Medkov. Un network di complici che lavorava su più tornei contemporaneamente, con un flusso costante di puntate in arrivo da tutto il mondo. Il vantaggio? Aggirare il ritardo di pochi secondi delle dirette televisive, trasformando ogni punto in una miniera d’oro per chi sapeva l’esito prima degli altri.
La Procura di Roma vede nella sua attività un sistema capace di minare la credibilità del tennis professionistico. Non solo scommesse illegali, ma un’azione diretta sullo svolgimento del gioco, con effetti potenzialmente devastanti su classifiche, premi e carriere.
Ora il procedimento è pronto ad approdare in aula. E il “fantasma” del tennis, che per anni ha agito tra le pieghe del regolamento e i vuoti di sicurezza, rischia di finire sotto i riflettori che ha sempre evitato. Perché la sua storia ricorda che, anche in uno sport simbolo di eleganza e fair play, la partita più insidiosa si gioca lontano dalla rete.