Una collana con la croce capovolta, simbolo del satanismo, e uno scambio di battute che è degenerato fino a trasformarsi in un caso giudiziario. È accaduto in una scuola superiore di Palermo, dove un docente è stato sospeso tre giorni senza stipendio dopo avere rimproverato una studentessa che si era dichiarata apertamente satanista.

Il professore, entrando in classe, aveva notato la ragazza indossare un ciondolo con la croce rovesciata. Le aveva chiesto di nasconderlo sotto il maglione, spiegando che anche lui teneva nascosto il proprio crocifisso «per non turbare la sensibilità degli studenti di altre religioni». Una frase che ha scatenato la replica della studentessa, determinata a rivendicare le proprie convinzioni. Non solo: la giovane aveva chiesto di tenere una lezione sull’argomento e di rimuovere dalla classe il crocifisso appeso alla parete.

Lo scontro non si è chiuso lì. La questione è arrivata sul tavolo della preside, che ha deciso di infliggere al professore una sanzione disciplinare: tre giorni di sospensione senza retribuzione. Per la dirigente, il comportamento dell’insegnante era stato lesivo della dignità della studentessa, che si era sentita mortificata davanti ai compagni. Non solo: secondo la preside, il docente avrebbe violato anche la riservatezza, raccontando l’episodio a una collega esterna al consiglio di classe, madre di un altro studente.

Il contesto in cui si era verificata la vicenda aveva reso l’episodio ancora più delicato. Erano passati solo pochi giorni dalla strage di Altavilla Milicia, quando un gruppo di fanatici aveva ucciso un’intera famiglia durante un rito di purificazione dal male. Proprio quell’accostamento, evocato dal professore durante il confronto con la studentessa, era stato ritenuto «certamente offensivo e diffamatorio» dai giudici.

L’insegnante non si era arreso alla decisione della preside e aveva impugnato la sanzione davanti al giudice del lavoro, convinto che si fosse trattato di un normale dibattito educativo. Ma i magistrati hanno respinto il ricorso, ribaltando la sua versione dei fatti. Secondo la sentenza, più che un confronto didattico, tra docente e studentessa era nata una lite, nella quale il professore avrebbe negato qualsiasi dignità filosofica o religiosa al credo della ragazza.

Il Tribunale ha sottolineato come l’atteggiamento dell’insegnante fosse in contrasto con i doveri professionali e con il principio di laicità che regola la scuola pubblica. In classe, si legge nella motivazione, gli studenti devono sentirsi liberi di manifestare il proprio pensiero religioso, senza temere di essere derisi o stigmatizzati. L’atteggiamento del docente, dunque, non poteva essere considerato una semplice opinione personale, ma un comportamento «gravemente negligente» rispetto agli obblighi previsti dal contratto collettivo nazionale.

La decisione non solo conferma la sospensione, ma condanna il docente a pagare anche le spese processuali, quantificate in 3.000 euro. Un epilogo pesante per una vicenda nata da un oggetto simbolico e da poche parole scambiate in classe, capace però di trasformarsi in un caso emblematico sui limiti della libertà religiosa a scuola e sul difficile equilibrio tra sensibilità individuali e ruolo educativo degli insegnanti. Diavolo di un giudice...