La richiesta della Procura apre una fase cruciale del processo. Per l’accusa l’influencer avrebbe tratto un profitto ingiusto dalle campagne solidali. La difesa insiste: nessuna frode, solo un errore comunicativo. Attesa per la sentenza
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La procura di Milano chiede un anno e otto mesi di carcere per Chiara Ferragni. È la richiesta formulata dal pubblico ministero Christian Barilli e dall’aggiunto Eugenio Fusco nell’ambito del procedimento penale sul cosiddetto “Pandorogate”, che vede l’influencer imputata per truffa aggravata in relazione alle campagne commerciali legate al pandoro Balocco e alle uova di Pasqua griffate. La decisione è arrivata al termine della requisitoria di questa mattina, alla quale Ferragni ha assistito in aula, entrando in tribunale con largo anticipo rispetto all’orario di convocazione per evitare camere e microfoni. È il secondo appuntamento processuale al quale partecipa di persona, accompagnata dai suoi legali Giuseppe Iannaccone e Marcello Bana, davanti al giudice Ilio Mannucci Pacini.
Ferragni ha preso la parola con dichiarazioni spontanee, spiegando di «aver sempre agito in buona fede» e di non aver «mai lucrato su iniziative benefiche». Una posizione più volte ribadita nelle ultime settimane, anche fuori dall’aula, pur mantenendo un profilo prudente rispetto all’esposizione mediatica. Una fonte vicina alla difesa descrive l’imputata come “concentrata e determinata”, consapevole della complessità del processo ma convinta della correttezza delle scelte operate dal proprio staff.
Oggi il giudice ha affrontato i primi nodi preliminari, tra cui la costituzione di parte civile da parte di un’associazione di consumatori, mentre la difesa ha chiesto che il processo prosegua con rito abbreviato. Nel procedimento compaiono anche Fabio Maria Damato, già dirigente del gruppo Ferragni, e Francesco Cannillo, presidente del cda di Cerealitalia: entrambi imputati con la stessa accusa.
Secondo la ricostruzione della Procura, la campagna Balocco avrebbe indotto in errore «un numero imprecisato di acquirenti», che avrebbero ritenuto, acquistando il prodotto al prezzo maggiorato di 9,37 euro rispetto a quello tradizionale, di finanziare direttamente la raccolta fondi per l’ospedale Regina Margherita di Torino. La donazione da 50mila euro destinata alla struttura ospedaliera, sostiene l’accusa, era stata concordata da Balocco in modo indipendente dalle vendite, mentre le società riconducibili a Ferragni avrebbero incassato circa un milione di euro per la campagna pubblicitaria.
Una dinamica simile, secondo gli atti depositati, si sarebbe verificata anche con la campagna legata alle uova pasquali del 2021 e del 2022. Per la Procura, si sarebbe trattato di un’operazione commerciale in cui l’influencer avrebbe ottenuto benefici economici e di immagine “significativi e misurabili”, mentre il messaggio promozionale avrebbe lasciato intendere un coinvolgimento diretto del consumatore nella donazione benefica.
Al contrario, la linea difensiva punta a dimostrare l’assenza di qualsiasi intenzione fraudolenta da parte della Ferragni e del suo team, evidenziando come il contributo solidale sia stato effettuato e rendendo noto che l’influencer non avrebbe mai ricevuto comunicazioni interne da Balocco che chiarissero diversamente i termini dell’accordo. Inoltre, la difesa ricorda le scelte successive dell’imprenditrice digitale, tra cui una donazione personale da un milione di euro destinata proprio all’ospedale Regina Margherita, come risposta immediata alla polemica pubblica.
Il processo si muove dunque in una zona delicata, tra aspetti commerciali, comunicazione pubblicitaria, responsabilità societarie e percezione dei consumatori. La procura ritiene che si sia trattato di una costruzione ingannevole, mentre la difesa parla di un fraintendimento mediatico, aggravato dall’enorme esposizione della vicenda. La prossima udienza, fissata per il 19 dicembre, sarà dedicata all’arringa della difesa, mentre il verdetto è atteso a gennaio.
Nel frattempo, il clima attorno all’aula resta carico di attenzione e tensione. Fuori dal tribunale, numerosi cronisti hanno seguito le fasi della giornata in attesa di un commento che Ferragni ha preferito non rilasciare. «È un momento difficile, ma guardo avanti», aveva detto settimane fa, quando si era presentata per la prima volta davanti ai giudici. Oggi quella frase sembra ancora la sintesi più efficace di una vicenda che ha travolto non solo la sua immagine pubblica, ma anche l’intero sistema di comunicazione commerciale costruito attorno al suo nome.
Il prossimo passaggio processuale definirà ulteriormente il quadro. Poi, la parola passerà al giudice. E a quel punto, la storia del “Pandorogate” entrerà nella sua fase finale.



