Dai messaggi d’amore ai tentativi di estorsione: quello che sembrava solo uno scandalo di gossip si è trasformato in un’inchiesta penale che rischia di travolgere la reputazione dell’attore
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L'attore Bova (foto Simona Chioccia/Moda Milano/IPA / ipa-agency.net)
Martina Ceretti si è dissolta nel nulla. Puff. Un colpo di vento e via, sparita da Instagram, cancellata dai motori di ricerca, disconnessa dal clamore che — parole sue — non avrebbe mai voluto. “Non cercavo visibilità”, diceva. Peccato che l’audio più chiacchierato dell’estate partisse proprio da lei. O meglio, dal suo telefono. Dentro c’erano le parole di Raoul Bova, languide e sincere: “Sei bellissima, hai gli occhi spaccanti, ho voglia di stare con te, vieni nella mia stanza”. E fuori, oggi, c’è una valanga.
A premere il grilletto, secondo la procura di Roma, è stato Federico Monzino. Trent’anni, ricco, mondano, con la passione per le Ferrari, i cavalli e i selfie riflettenti. Per l’accusa è lui che ha preso quel materiale, lo ha confezionato e poi ha premuto “invio”. Verso una destinazione ben nota: “Falsissimo”, la creatura mediatica di Fabrizio Corona. Il quale, com’è nel suo stile, non ha fatto prigionieri. Ha pubblicato tutto. Gli audio, le trascrizioni, le provocazioni. E ora si smarca con un candore che fa quasi tenerezza: “Non sapevo del ricatto”.
Il ricatto, però, c’era. Anzi, c’è. Lo raccontano le chat, ormai nelle mani degli inquirenti. In una di queste, datata 11 luglio, Monzino scrive a Bova usando un numero spagnolo intestato a un prestanome. Le parole sono chirurgiche: “Non è il caso che venga fuori uno scandalo, no? Per il tuo matrimonio, per il tuo lavoro, per la tua immagine. Altro che Don Matteo”. Poi l’affondo: “Ho contenuti fra te e Martina cerretti (scritto così, minuscolo e con due erre) che ti farebbero molto male. Se mi vieni incontro, blocchiamo tutto. Se vuoi essere così gentile da farmi un regalo...”.
Un regalo. Così lo chiama. Come se si trattasse di un biglietto per il compleanno, non del prezzo del silenzio. E la parola “regalo” ricorre anche altrove, nei messaggi in cui Monzino tenta — secondo gli inquirenti — di monetizzare il materiale. “Ti sto salvando il culo”, scrive. “Sta a te decidere quanto vale”. Ma il tentativo va a vuoto. Bova non risponde. E l’inchiesta parte.
Fabrizio Corona, nel frattempo, gioca il solito ruolo borderline: protagonista senza essere indagato, testimone chiave senza troppa voglia di tacere. Ha pubblicato i dettagli dell’inchiesta prima ancora che lo facessero i giornali, come fosse il portavoce non ufficiale del caos. E si è pure concesso un editoriale autocelebrativo in cui rivendica il diritto di raccontare tutto, “per amore della verità”.
In questo circo, l’unico davvero spogliato è Raoul Bova. Travolto, sputtanato, tradito. Rocío Morales, la compagna, ha chiamato un avvocato. Il danno d’immagine è fatto. E mentre i fan si dividono tra chi lo difende e chi lo crocifigge, l’attore resta in silenzio. Nessuna replica ufficiale. Solo l’imbarazzo di vedersi sbattuto ovunque per un audio che, nella migliore delle ipotesi, doveva restare tra lui e una giovane ragazza dai selfie teatrali e dal cuore, diciamo così, un po’ troppo disinvolto.
Il paradosso è che Monzino si è persino giustificato. In un lungo post su Instagram ha detto di essersi preso “la colpa per proteggere Martina”. Lacrime virtuali, stile agnello sacrificale. Ma è difficile credergli. Perché se davvero voleva “proteggerla”, forse avrebbe potuto non inviare quegli audio a Corona. E se voleva tutelare Bova, avrebbe evitato di scrivere frasi da sceneggiatura malriuscita tipo “ti sto salvando il culo”.
Martina, nel frattempo, gioca a nascondino. Si dichiara “travolta”, “sconvolta”, “fraintesa”. Dice di essere stata male, che tutto è stato travisato. Eppure non spiega come quei messaggi siano usciti dal suo telefono. Lamenta di essere stata dipinta “come una ragazza che non è”. Ma se non è lei a cedere il file, chi lo fa? Un passero? Un piccione viaggiatore? La catena è corta. Qualcuno lo ha ricevuto, qualcuno lo ha girato, qualcuno lo ha venduto. E ora che la giostra si è messa in moto, nessuno vuole più essere quello che ha premuto il tasto “inoltra”.
In fondo, è il solito gioco: la voglia di farsi notare, la tentazione di monetizzare un segreto, la ragazzina carina dal ricco carnet di storielle vip, la convinzione che la fama passi anche dai guai altrui. Solo che stavolta il giocattolo si è rotto. E non per finta. La procura indaga, l’avvocato di Bova prepara la difesa, la rete si infiamma.
E mentre tutti si affrettano a dire “io non c’entro”, resta un dettaglio che in troppi fingono di dimenticare: Raoul Bova non è esattamente la vittima. È un attore cinquantenne, con due figli, una compagna e una carriera costruita sull’immagine del bello e buono. Ma che fa? Si infila in una relazione ambigua con una ventenne in cerca di palcoscenico, le manda audio sdolcinati con messaggini da liceale in calore, e poi si sorprende se tutto esplode. Altro che ingenuità. Questo sputtanamento se l’è cercato. A mani nude. Perché il vero errore non è stato fidarsi delle persone sbagliate. Perché il vero errore non è l’audio finito online, ma quello che c’è dentro. Un cinquantenne che fa il piacione e che gioca al seduttore mentre a casa l’aspetta una famiglia ignara del suo tradimento. Se ti sputtani da solo, poi non puoi lamentarti se ti sporchi fango.