Trattativa sempre più tesa tra Viale Mazzini e il Comune: l’ultimatum scade in pochi giorni, mentre il cda Rai si divide e il sindaco Mager teme il disastro politico
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Sanremo trema. E questa volta non sono i bassi di un’orchestra o il vento di mare d’inverno, ma le vibrazioni di una trattativa diventata un braccio di ferro senza esclusione di colpi. La Rai ha messo il Comune di Sanremo di fronte all’ultimatum: o abbassa le pretese economiche per l’edizione 2026 del Festival, oppure il palcoscenico più famoso d’Italia trasloca altrove. Torino è già pronta, con studi moderni e un know-how collaudato dall’Eurovision Song Contest. Ma spostare il Festival significherebbe riscrivere la storia di un marchio che vive di tradizione e di quella magia che solo la Riviera dei fiori ha saputo costruire in oltre settant’anni.
Dietro le quinte, la tensione è palpabile. L’amministratore delegato Rai Giampaolo Rossi, in cda, ha raccontato l’andamento della trattativa con un realismo che non lascia spazio a illusioni. Il Comune pretende cifre che Viale Mazzini considera eccessive, e il bando pubblico ha creato più problemi che soluzioni. Alcuni consiglieri non l’hanno mai digerito: «Partecipare significava accettare quelle condizioni», si lamentano. E quelle condizioni oggi sembrano una trappola. Perché dall’altra parte, a Palazzo Bellevue, il messaggio è chiarissimo: avete aderito al bando, ora rispettate le regole.
Il sindaco Alessandro Mager è finito in un angolo pericoloso. Se il Festival scappa via dalla città, la sua poltrona traballa come non mai. Per gli albergatori, i ristoratori e tutti quelli che vivono dei milioni che piovono in una sola settimana di musica e passerelle, sarebbe un colpo devastante. In città già circolano voci amare: «Sanremo senza Sanremo non esiste».
Eppure, anche per la Rai il rischio è altissimo. Perdere la cornice ligure significherebbe offrire agli sponsor un’immagine di ridimensionamento. Un “piano B” a Torino, per quanto impeccabile dal punto di vista tecnico, potrebbe sembrare uno spin-off depotenziato. Gli inserzionisti comprano la magia di Sanremo, le telecamere sul mare, le file al Casinò, l’atmosfera irripetibile. È questo che giustifica i 67 milioni di ricavi pubblicitari dell’ultima edizione, record assoluto. Trasferire il Festival potrebbe far scendere il valore percepito, e quindi il prezzo degli spot.
Il cda Rai è spaccato. C’è chi pensa che, pur di non intaccare il mito, si debba cedere e pagare quei 3,5 milioni in più tra bando, percentuali sugli eventi e gestione dei biglietti. E c’è chi, al contrario, vede in questa battaglia una questione di principio: “Non possiamo essere ostaggio di un Comune che sa di avere l’arma del ricatto emotivo”, si sente mormorare nei corridoi di Viale Mazzini.
Intanto a Sanremo si respira un’aria da ultimatum finale. Gli hotel attendono notizie, gli organizzatori locali temono la catastrofe, e in piazza già qualcuno immagina febbraio senza la folla di giornalisti e fan sotto la pioggia. Sarebbe una ferita simbolica per l’Italia della musica e un terremoto politico per la città. Mager lo sa, e per questo prova a resistere, ma il tempo stringe.
La Rai, dal canto suo, ha già preparato il piano di evacuazione: Torino, con i suoi studi pronti e la memoria fresca dell’Eurovision, può garantire logistica e spettacolo. Ma il rischio è quello di un Sanremo senza Sanremo, un’operazione chirurgica che taglia il cuore emotivo per salvare il corpo televisivo. Un Festival che perde il profumo di Riviera, le aiuole in fiore fuori stagione, le inquadrature sulla statua di Mike Bongiorno e l’eco delle canzoni che risuonano tra le vie strette del centro storico.
Eppure, nel gioco dei nervi, qualcuno dovrà cedere. Se il Comune non abbassa la testa, la Rai non potrà continuare a farsi logorare. Se la Rai cede, dovrà pagare un prezzo politico oltre che economico. E nel frattempo gli sponsor osservano, pronti a ricalibrare gli investimenti.
La prossima settimana scade l’ultimatum. Poi sarà guerra aperta o pace armata. Sanremo, per ora, resta sospesa tra la sua storia e un futuro che potrebbe parlare con accento piemontese. Ma una cosa è certa: senza una soluzione rapida, la canzone italiana rischia di trovare la sua nuova casa lontano dal mare, e forse di scoprire che certe magie, una volta spezzate, non tornano più.