Zaini in spalla, libri in mano e telefoni rigorosamente spenti. È questo lo scenario che attende milioni di studenti italiani pronti a rientrare in aula. Da quest’anno, infatti, entra in vigore una stretta sull’uso degli smartphone a scuola: vietati non solo durante le lezioni, ma anche nei momenti di pausa, come l’intervallo. Una rivoluzione annunciata da mesi che ora diventa concreta, con presidi e docenti pronti a vigilare.

Le scuole, intanto, si organizzano. Ogni istituto ha dovuto aggiornare il proprio regolamento interno, introducendo regole chiare sull’utilizzo dei dispositivi elettronici e sanzioni commisurate alla gravità dell’infrazione. Non basterà più fingere di controllare l’orologio o nascondere il cellulare sotto il banco: se uno studente verrà sorpreso con il telefono in mano, scatteranno provvedimenti immediati.

Il principio guida è quello della gradualità. «Le sanzioni devono rispettare il principio di proporzionalità: corrispondenza tra la gravità della condotta e la severità della sanzione», ha ricordato Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi. Si parte dalla classica nota, passando per richiami ufficiali e comunicazioni ai genitori, fino ad arrivare – nei casi più gravi o di recidiva – alla sospensione. «Non sono esclusi altri provvedimenti, a seconda del regolamento adottato da ciascun istituto», precisa ancora Giannelli.

La vera incognita, però, riguarda la custodia dei telefoni. Le ipotesi di dotare le scuole di armadietti individuali, dove riporre i cellulari all’inizio della giornata, si sono scontrate con un ostacolo pratico: i costi. Per la stragrande maggioranza degli istituti italiani, infatti, sarebbe insostenibile acquistare e mantenere migliaia di contenitori blindati. Così la soluzione, al momento, appare piuttosto “artigianale”: gli studenti dovranno tenere i dispositivi negli zaini, spenti o in modalità silenziosa, e non utilizzarli fino al termine delle lezioni.

Un compromesso che, inevitabilmente, apre la strada a una questione spinosa: basterà la buonafede degli studenti a garantire il rispetto della regola? I presidi, consapevoli della difficoltà, parlano apertamente di “battaglia”. «Sarà complicato far rispettare il divieto – ammettono – ma sappiamo che è per il loro bene».

Cristina Costarelli, dirigente dell’Itis Galileo Galilei di Roma e presidente di Anp Lazio, annuncia che nella sua scuola non ci si limiterà al pugno duro. «Abbiamo previsto momenti di approfondimento in ogni classe, con lo studio di esperienze internazionali sul non utilizzo degli smartphone. Non si tratta solo di vietare, ma di educare a un uso consapevole».

Il nodo, infatti, non è soltanto disciplinare ma culturale. I dati raccontano di una generazione iperconnessa: secondo recenti ricerche, oltre l’80% degli adolescenti italiani controlla lo smartphone più di dieci volte l’ora. Portare queste abitudini tra i banchi rischia di minare la concentrazione, rallentare l’apprendimento e favorire distrazioni di ogni tipo. Non stupisce che il Ministero abbia scelto la linea dura.

Eppure, tra gli studenti, le opinioni si dividono. C’è chi accetta il divieto con filosofia e chi lo vive come un’ingiustizia. «Non usiamo il telefono solo per chattare: ci sono applicazioni didattiche, calcolatrici, dizionari», protestano alcuni ragazzi. «Se viene tolto del tutto, diventa solo una punizione». Dall’altra parte, molti insegnanti accolgono il provvedimento come una liberazione: «Era diventata una sfida continua, con ragazzi più concentrati sui social che sulla lezione», racconta un professore di Milano.

La sfida, insomma, è appena iniziata. Tra zaini che vibrano, messaggi clandestini e occhi vigili dei docenti, il nuovo anno scolastico si annuncia come un campo di prova. La domanda è: chi vincerà la guerra dello smartphone?