Bologna, 2 agosto 2025. Alle 10.25, l’ora della bomba, il fischio del treno taglia il silenzio di piazza Medaglie d’Oro. Poi il minuto che ogni anno congela il tempo: quarantacinque anni dopo, la strage del 2 agosto 1980 resta una ferita viva. 85 morti, oltre 200 feriti e una memoria che non si spegne.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo messaggio, non lascia spazio a interpretazioni: «La strage di Bologna fu parte di una spietata strategia eversiva neofascista, che mirava a colpire la Repubblica e la convivenza civile». Parole nette, che risuonano con forza in una giornata segnata dalla memoria ma anche dalla politica. Nettamente diverso il tono della premier Giorgia Meloni, che nel suo messaggio istituzionale ha ricordato la “pagina più buia della storia italiana” senza mai pronunciare la parola “fascista”. Un silenzio che pesa, sottolineato dalle opposizioni e dai familiari delle vittime.

La città vive la sua commemorazione come un rito collettivo. La cerimonia inizia a Palazzo d’Accursio, alla presenza delle autorità locali e nazionali. Tra queste, la ministra per l’Università e la Ricerca Anna Maria Bernini, che non riesce a evitare le contestazioni. «Possiamo credere alla sua vicinanza personale – urla un uomo dal pubblico – ma non a quella del governo», prima di srotolare uno striscione contro il riarmo e venire allontanato dalle forze dell’ordine.

Dal cortile del Comune alla stazione, il corteo si snoda come ogni anno dietro lo striscione “Bologna non dimentica”. Sul palco, il presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi, prende la parola con la forza di chi non ha mai smesso di chiedere giustizia. E lancia un avvertimento diretto a Palazzo Chigi: «Presidente Meloni, condannare la strage senza riconoscerne la matrice fascista è come maledire il frutto di una pianta velenosa continuando ad annaffiarne le radici».

Bolognesi affonda anche sul ministro Francesco Lollobrigida: «La sua “verità con la V maiuscola” sembra una mistificazione più che realtà». Ricorda le chat emerse tra lo stesso ministro e l’onorevole Frassinetti, in cui si parlava di “sentenza sbagliata” e si suggeriva di tenere un profilo basso, per poi “diffondere la verità” una volta al governo. «Hanno un solo modo per uscirne – accusa –: fare finta di niente e sperare che ci si dimentichi».

Non mancano i riferimenti storici. «Tutti gli stragisti italiani passarono dal Movimento Sociale Italiano – ricorda Bolognesi – un partito fondato dai reduci della Repubblica Sociale di Salò, contro la Costituzione nata dalla Resistenza». Quando cita Ignazio La Russa, oggi presidente del Senato, la piazza reagisce con una raffica di fischi: «Nel 2007 presenziò ai funerali del terrorista Nico Azzi, quello che fornì le bombe a mano poi usate da due missini per uccidere il poliziotto Antonio Marino».

Dal fronte politico arrivano bordate all’esecutivo. La segretaria Pd Elly Schlein invita il governo a fare i conti con la storia: «Sono passati 45 anni e quello che dicono i familiari delle vittime è già scritto nelle sentenze, che vanno lette e pubblicate da tutti, anche da chi governa». Sulla stessa linea Nicola Fratoianni di Avs, che ironizza su X: «Devono avere un correttore automatico che cancella sempre la parola fascista».

La voce della Chiesa si alza con il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, che celebra la messa in San Benedetto: «Per non restare assassini è un dovere chiedere perdono e aiutare a fare verità». Il porporato ringrazia i familiari: «Se non ci fossero stati loro, la nebbia dell’oblio avrebbe coperto tutto».

La giornata si chiude come si era aperta: tra dolore, memoria e tensioni irrisolte. Il contrasto tra le parole limpide di Mattarella e il silenzio della premier sulla matrice neofascista resta il segno politico di questo 45° anniversario. Bologna non dimentica e non perdona.