Nella villa di Marina Berlusconi, con la presenza di Pier Silvio, va in scena il vero vertice del partito: statuto cambiato, poteri ridistribuiti e un messaggio chiaro al vicepremier. Che però ostenta sicurezza: «Li conosco da quando sono ragazzi»
Tutti gli articoli di Italia Mondo
PHOTO
«Parleremo di tutto, del futuro e, certo, anche di Forza Italia». Antonio Tajani prova a mettere il cappello sull’incontro di Cologno Monzese, ma la scena non inganna nessuno. A casa di Marina Berlusconi, primogenita del Cav, lui arriva con l’aria del leader sicuro di sé, quella del vicepremier che giura di “avere in mano il partito”. In realtà, più che una riunione politica, sembra un colloquio di lavoro: due azionisti veri di Forza Italia da una parte, un segretario “in prestito” dall’altra.
Il copione è quello della famiglia che conta. Tajani ci tiene a sottolinearlo: «Li conosco da quando sono ragazzi, sono incontri che abbiamo sempre fatto». Ma stavolta l’aria è diversa: gli anni d’oro del Cavaliere sono finiti, i soldi li mettono gli eredi (oltre 90 milioni di credito vantati nei confronti del partito) e la musica la scelgono loro.
Non a caso, quando Pier Silvio Berlusconi ha pronunciato la parola magica — “rinnovamento” — il partito ha subito cambiato pelle. Niente rivoluzioni rumorose, ma una chirurgia silenziosa: nuovo statuto, catena di comando ritoccata, Simone Baldelli nominato coordinatore della comunicazione. Una mossa che sa di commissariamento soft, la versione elegante del messaggio: “Antonio, ascolta e fai”.
Tajani, dal canto suo, indossa il sorriso di chi finge che vada tutto bene. Davanti ai cronisti ripete il mantra: «Ascolto i consigli che arrivano da amici». Gli “amici”, per inciso, si chiamano Marina e Pier Silvio, e nel loro salotto scorrono più potere e soldi che in metà Consiglio dei ministri. A fargli da scudo morale c’è Gianni Letta, custode della liturgia berlusconiana, seduto in mezzo come una garanzia di continuità.
Eppure, dietro la scenografia ovattata, il messaggio è chiaro: la pazienza dei Berlusconi non è infinita. Da mesi circolano malumori per un partito giudicato troppo appiattito sugli alleati di governo, incapace di ritagliarsi uno spazio vero. La linea Tajani, fatta di prudenza e piccole mediazioni, convince poco chi deve garantire la sopravvivenza politica e finanziaria del marchio Forza Italia.
Il colpo di grazia alla “favola dell’autonomia” l’ha dato proprio Pier Silvio, durante la presentazione dei palinsesti Mediaset, con quella frase che pesa come un editto: «Servono nuovi leader». Traduzione simultanea: basta con la vecchia guardia, da Gasparri a Barelli, da Dalla Chiesa allo stesso Tajani. Tutti rispettati, certo, ma ormai pronti per il museo del berlusconismo.
Così, mentre il segretario cerca di recitare la parte del comandante, il retroscena è un altro: il nuovo centro di gravità di Forza Italia non è in Parlamento, né a Palazzo Chigi, ma nella villa di famiglia a Cologno. Lì si decide chi resta, chi sale e chi scende. Lì si scrive la sopravvivenza politica di un partito che, senza il Cavaliere, sembra un’azienda in amministrazione controllata.
Per ora, Tajani si accontenta della foto ricordo e della formula di circostanza: «Un incontro tra amici». Gli amici, però, hanno appena riscritto le regole del gioco.