Rivoluzione all’Epa: la Casa Bianca vuole eliminare la base scientifica che riconosce i gas serra come un pericolo per la salute
Tutti gli articoli di Italia Mondo
PHOTO
Sedici anni di battaglie ambientali buttati nel tritacarte. È il nuovo miracolo americano firmato Donald Trump, l’uomo che trasforma la scienza in carta straccia e il carbone in elisir di giovinezza. L’Epa, l’agenzia federale per la protezione ambientale, ha annunciato di voler cancellare la dichiarazione scientifica del 2009 – l’“endangerment finding” – che per la prima volta aveva definito i gas serra come una minaccia per la salute e il benessere umano. Era la colonna portante di tutte le politiche ambientali degli ultimi sedici anni.
Per capire la portata della decisione basta immaginare una gigantesca retromarcia con le luci di emergenza spente: addio limiti alle emissioni di auto, camion e centrali elettriche; addio regolamenti contro il metano e la CO₂; addio a qualsiasi tentativo di rallentare la corsa verso un pianeta surriscaldato. Tutto in nome di una crociata personale di Trump, che da sempre considera il cambiamento climatico un capriccio delle élite globaliste.
«Era il sacro Graal della religione del clima», ha detto soddisfatto Lee Zeldin, direttore dell’Epa, presentando la proposta. Una frase che suona come un inno alla contro-rivoluzione: il clima diventa un dogma da abbattere, la scienza una stregoneria da cacciare dal tempio. Al suo fianco il segretario all’Energia Chris Wright ha presentato la squadra di cinque scienziati incaricati di “valutare onestamente i dati”. Gli ambientalisti, però, li definiscono “cinque negazionisti travestiti da esperti”: il curriculum parla chiaro, anni di conferenze e articoli contro ogni ipotesi di crisi climatica.
Nel frattempo, fuori da Washington, la realtà è meno ideologica: incendi devastano la California e il Texas, città come Phoenix e Las Vegas friggono a 47 gradi, e la stagione degli uragani promette di essere una delle più violente di sempre. Mentre gli scienziati ripetono che il pianeta si avvicina a superare la soglia di 1,5 gradi di aumento medio, Trump e la sua amministrazione celebrano il funerale della politica ambientale federale come se fosse il trionfo del libero mercato.
La proposta apre una finestra di sessanta giorni per raccogliere osservazioni da cittadini e associazioni, ma l’esito sembra scritto: l’Epa di Trump vuole archiviare ogni vincolo, restituendo ai combustibili fossili il ruolo di padroni incontrastati. È un atto che gli esperti definiscono “senza precedenti”, paragonabile a demolire le fondamenta di un palazzo in piedi da decenni. Se confermata, la cancellazione della dichiarazione di pericolo renderà quasi impossibile per il governo federale imporre nuove restrizioni anti-smog o obblighi per l’industria automobilistica.
Gli ambientalisti promettono battaglie legali a raffica. Ma i tribunali non fermano gli uragani né spengono le foreste in fiamme. «È come vendere l’ombrello nel mezzo di un diluvio», ha dichiarato ironicamente un ricercatore della Columbia University. E mentre il mondo guarda agli Stati Uniti come a un Paese sempre più isolato nella lotta al cambiamento climatico, Trump appare soddisfatto: nel suo racconto, la libertà si misura in barili di petrolio e tonnellate di carbone bruciato, non in aria respirabile.
Se Obama aveva sognato un’America guida della rivoluzione verde, Trump la riconsegna agli anni Cinquanta: acciaio, fumo e benzina senza piombo, mentre la scienza viene archiviata come un’opinione tra le tante. Il messaggio è chiaro: il futuro può aspettare, l’inquinamento no. E il pianeta? Beh, quello non vota.