«Non disegno». Con questa secca smentita, postata mentre si trovava a Miami intento a firmare una causa da dieci miliardi di dollari per diffamazione contro il Wall Street Journal, Donald Trump ha cercato di chiudere la faccenda. Peccato che la frase suoni più come una battuta da stand-up comedy che come un’autoassoluzione convincente. Perché The Donald, in realtà, disegna. Eccome se disegna. E, soprattutto, firma. Con il suo classico pennarello nero a punta grossa.

Il caso è esploso quando il WSJ ha pubblicato un articolo che ricostruisce una vicenda risalente al 2003: secondo le fonti del quotidiano, Trump avrebbe inviato a Jeffrey Epstein – sì, proprio lui, il finanziere pedofilo morto in circostanze mai del tutto chiarite – un biglietto d’auguri per i suoi 50 anni contenente il disegno stilizzato di una donna completamente nuda. L’illustrazione, decisamente allusiva, avrebbe avuto la firma “Donald” proprio al posto dei peli pubici. A incorniciare il tutto, una frase dattiloscritta: «Buon compleanno – e che ogni giorno sia un altro meraviglioso segreto». Un augurio così elegante che nemmeno Hugh Hefner nei giorni buoni.

Trump ha subito parlato di «menzogna velenosa», querelando il WSJ e dichiarando con finta modestia che lui, i disegni, non li fa. Ma la realtà gli rema contro. Un’analisi del New York Times svela che l’ex presidente si è spesso cimentato in schizzi. Disegni di edifici, ponti, skyline: vere e proprie stilizzazioni d’autore, tutte firmate con la sua grafia inconfondibile. Molti di questi sono stati donati a enti di beneficenza e battuti all’asta, anche a prezzi da capogiro.

E qui viene il bello. È lo stesso Trump, nel suo libro del 2008 Trump Never Give Up, a raccontare di sé come artista filantropico: «Mi ci vogliono alcuni minuti per disegnare qualcosa – solitamente grattacieli o panorami urbani – e poi firmare. Raccolgo migliaia di dollari per gli affamati di New York». Altro che “non disegno”.

Uno di quei disegni è datato proprio 2003, l’anno della presunta lettera a Epstein: rappresenta il progetto Riverside South a Manhattan e fu donato ai Capuchin Food Pantries. È stato poi venduto da Sotheby’s dopo l’ingresso di Trump alla Casa Bianca. Non un pezzo unico: durante la presidenza, diversi schizzi del tycoon sono apparsi alle aste. Un disegno dell’Empire State Building, venduto nel 1995 per 100 dollari, nel 2017 è stato rivenduto a 16.000. Un altro, raffigurante il ponte George Washington, risale al 2006. E ce n’è persino uno, tra il mistico e il comico, intitolato Money Tree – “l’albero dei soldi” – venduto per 8.500 dollari.

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nsomma, i disegni esistono. Le firme pure. E il pennarello nero sembra la sua arma del delitto preferita, più della tastiera di Truth Social. Quindi, quando Trump scrive “non disegno”, è un po’ come quando dice di non conoscere bene Giuliani o di non ricordare cosa ci fosse nella scatola dei documenti top secret. L’amnesia selettiva è ormai parte del personaggio.

Il caso Epstein resta torbido, certo. Il biglietto incriminato non è ancora stato mostrato al pubblico, ma le circostanze – data, stile, firma, contesto – sembrano combaciare perfettamente con la produzione artistica parallela del tycoon. E se anche fosse una bufala? Resta il fatto che The Donald ha disegnato, eccome. E ora smentisce se stesso per difendersi da un’accusa oscena. Forse troppo oscena per ammettere, anche solo per sbaglio, che in quel disegno ci fosse davvero la sua firma. Proprio lì.