È citato più volte nei documenti dell’indagine. Conosceva le manovre dell’assessore Tancredi e confermò la nomina di Marinoni nonostante i potenziali conflitti. Il “modello Milano” perde pezzi, mentre il silenzio del primo cittadino diventa ogni giorno più ingombrante
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Il sindaco di Milano Giuseppe Sala
Il sindaco Giuseppe Sala sapeva. Lo dicono le carte dell’inchiesta. Le ipotesi di reato sono due. La prima: false dichiarazioni su qualità personali, legata alla riconferma nel 2024 di Sandro Marinoni alla guida della Commissione, nonostante – secondo i pm – Sala fosse a conoscenza di suoi legami con imprenditori come Manfredi Catella. La seconda: concorso in induzione indebita per il progetto di riqualificazione del “Pirellino”, promosso da Catella e Stefano Boeri.
Al centro dell’inchiesta c’è una lunga catena di pressioni, scambi di messaggi, incontri riservati. Per gli inquirenti, Sala avrebbe lasciato che l’assessore Tancredi spingesse su Marinoni affinché il parere negativo iniziale sul grattacielo venisse “ammorbidito”. Il 22 giugno 2023, infatti, la Commissione esprime un parere favorevole condizionato. Il giorno prima Boeri aveva scritto a Sala un messaggio dai toni “risoluti”, secondo la Guardia di Finanza, chiuso con un “prendilo come warning per domani”.
Il sindaco aveva risposto di essere informato e di fidarsi del giudizio dell’assessore. E proprio quel giudizio – oggi sotto inchiesta – avrebbe inciso sul parere finale. L’accusa sostiene che la Commissione fu “indotta a testa bassa” a cambiare rotta sotto pressioni illecite. Sala, ora, è chiamato a rispondere non solo delle sue scelte, ma anche dei silenzi.
La domanda — quanto ne sapeva il sindaco? — ora non può più essere elusa. Perché ora c’è una risposta giudiziaria, nero su bianco. E Beppe Sala dovrà difendersi dalle accuse di Pm: “Tancredi confidava nell’appoggio del sindaco Sala”. Parole pesanti, che compaiono quando i magistrati descrivono l’iter che portò alla conferma di Giuseppe Marinoni come presidente della Commissione Paesaggio, nonostante fosse già coinvolto in progetti urbanistici milionari. “Un piano regolatore ombra, e con alte parcelle”, lo definiva lui stesso nelle chat intercettate, vantandosi del volume di lavoro generato dalle sue consulenze. Era chiaro, a chi leggeva, che esistesse un conflitto. Eppure la nomina fu ratificata. Da chi? Da Sala.
Il 23 maggio 2023, Marinoni scriveva compiaciuto: “Se riuscissimo a concludere anche solo metà dei lavori che abbiamo avviato in questi sei mesi, avremmo lavori per il prossimo lustro… ahah”. Poi, a dicembre, rincarava: “Stiamo attuando un piano ‘ombra’ con alte parcelle”. Ma quelle battute ora valgono come prova d’accusa: secondo la Procura, l’urbanistica milanese veniva diretta su binari paralleli, con Tancredi come regista e Sala come garante silenzioso.
L’accusa ai sei destinatari delle misure cautelari — tra cui Tancredi e Manfredi Catella, il re del mattone milanese con la sua Coima — è pesantissima: corruzione, induzione indebita, falso. Il sistema, descritto minuziosamente nelle oltre 600 pagine dell’inchiesta, si reggeva su pressioni istituzionali, incarichi su misura, scorciatoie normative. Un patto non scritto tra l’assessore all’Urbanistica e i principali operatori immobiliari, con il Comune che da arbitro diventava alleato.
E Sala? Secondo i pm, non solo Tancredi si muoveva “confidando nel suo appoggio”, ma lo informava passo dopo passo, soprattutto nelle fasi più critiche. È scritto chiaramente: “Tancredi operava anche al fine di motivare i funzionari comunali, spaventati dalle volumetrie e dalle altezze proposte, ad esprimersi positivamente”. E ancora: “Metteva al corrente Marinoni di ogni passaggio della sua opera di convincimento, organizzava appuntamenti con le società coinvolte per avvertirle e prepararle”.
Una macchina ben oliata, che secondo l’accusa mirava a “smarcare i piani attuativi”, giustificare progetti alti e impattanti con quote di edilizia popolare, e aggirare così le regole pubbliche sulla trasparenza urbanistica. E tutto questo, scrivono i pm, avveniva con la copertura politica del sindaco, in un gioco a incastri dove i beneficiari finali erano sempre gli stessi: Coima, Redo, Hines, Lendlease, EuroMilano, Atm, Rfi.
Lo scenario è devastante per l’immagine di Milano e del suo Sindaco. Una città che negli ultimi dieci anni si è raccontata — e venduta — come esempio virtuoso di rigenerazione urbana, sinergia tra pubblico e privato, efficienza amministrativa. Un modello ambrosiano da esportare, fino a quando le chat non hanno raccontato un’altra storia: pressioni sui tecnici, cambi di parere forzati, torri “estrapolate” dai piani regolatori, delibere “cucite su misura”.
Ma c’è di più. A inchiodare il sindaco, sarebbe il timing delle manovre. Secondo i pm, fu proprio Tancredi a suggerire e spingere l’uso di accordi di partenariato pubblico-privato (Ppp) per “giustificare” l’interesse pubblico e saltare i passaggi urbanistici ordinari. Il metodo? Semplificare l’iter, evitare dibattiti e commissioni, portare tutto direttamente alla giunta. Una giunta guidata da chi? Da Sala. Che firmava, approvava, confermava.
Finora il primo cittadino ha mantenuto un profilo basso. Nessuna conferenza stampa, nessuna dichiarazione ufficiale. Ma il suo silenzio, in questo contesto, non protegge: pesa. Pesa a Palazzo Marino, dove crescono le tensioni nel Pd e tra gli alleati. Pesa a Roma, dove la norma Salva-Milano è ancora bloccata in commissione. Pesa soprattutto in vista delle Olimpiadi 2026, dove Coima è parte attiva nella costruzione del villaggio olimpico. E pesa anche in Parlamento, dove il Pd comincia a dividersi tra chi vorrebbe blindare Sala e chi chiede chiarezza.
Lo aveva detto lui stesso, poche settimane fa: “Ho fatto continui richiami alla necessità di stringere i tempi, ma d’ora in poi non aprirò più bocca”. Ora la città aspetta che invece la apra. Perché i magistrati hanno scritto una verità giudiziaria. La politica deve decidere se reggerne il peso o far finta di non averla letta.