A differenza del Protomonastero edificato da Gioacchino da Fiore dopo il 1189 a Jure Vetere, in una località da lui denominata Fiore con un chiaro significato simbolico-spirituale, il complesso abbaziale florense di San Giovanni in Fiore sorge in una località che aveva già secoli di storia ed un toponimo, Faraclonus oppure Faradomus di origine longobarda. Fara, infatti, è la più diffusa parola longobarda ed indica un corpo di spedizione, un'unità di insediamento.

Nei secoli VIII e IX, infatti, la località Faradomus era un avamposto difensivo longobardo sull'estremo confine sud-orientale del ducato di Benevento, un posto di guardia dal quale i longobardi controllavano il territorio della bassa valle del Neto rimasto sotto il governo bizantino. L’imperatore di Bisanzio Basilio I conquistò, nel biennio 885-886, tutti territori longobardi della Calabria. I monaci basiliani del monastero dei Sanctorum Trium Puerorum della località Patia nei pressi di Caccuri, durante il X secolo, occuparono i terreni di Faraclonus per utilizzarli come pascoli stagionali. Tra l'XI ed il XII secolo, i Normanni eliminarono la dominazione bizantina e saracena dall’Italia meridionale e dalla Sicilia; successivamente, verso la fine del XII secolo, gli Svevi subentrarono ai Normanni. Enrico VI di Hohenstaufen fu incoronato Re di Sicilia nella notte di Natale del 1194 ed il giorno dopo, a Jesi, la moglie Costanza d'Altavilla partorì Federico II, lo stupor mundi. La località Faradomus fu inclusa nella donazione di un vastissimo territorio della Sila che l’imperatore Enrico VI concesse a Gioacchino da Fiore il 21 ottobre del 1194.

L'abate di Fiore, dopo questa donazione, vi costruì un oratorio dedicato a San Giovanni Battista provocando un aspro contenzioso con i monaci basiliani. Dopo la morte di Gioacchino, un violento incendio divampato verso la fine del 1214 distrusse il protomonastero di Jure Vetere, in omnibus hedificiis suis. L'abate Matteo, successore di Gioacchino, dopo un tentativo di ricostruzione, ottenne da Papa Innocenzo III, nel febbraio del 1215, l'autorizzazione a costruire una nuova sede in un altro luogo meno freddo e più adatto alla vita monastica (liceat vobis descendere Calabriam). I florensi, confermando la scelta del loro fondatore, si spostarono invece di soli 5 km e restarono sui monti della Sila, inter frigidissimas alpes.

Luca di Cosenza rese noto l'accordo raggiunto nel 1215 fra l'abate di Fiore e l'abate dei Santi Tre Fanciulli con la definitiva rinuncia dei monaci basiliani su Faradomus. In questa località l'abate Matteo eresse l'attuale complesso abbaziale di San Giovanni in Fiore, probabilmente ampliando e consolidando la preesistente fabbrica monastica avviata da Gioacchino nel 1195. Il nuovo complesso fu ultimato entro il 1234 e conservò la denominazione di Monasterium Sancti Iohannis de Flore, a testimonianza della valenza simbolica del nome Fiore. Una vicenda che Federico II, che concesse il diritto d'asilo al Monastero e poteri giurisdizionali all’abate, in un privilegio del 1220 riassunse così: "Locum ipsum qui nunc Flos, olim vero dictus est Faraclonus, in quo post combustionis infortunium Florense Monasterium non sine apostolice concessionis auctoritate mutatum est" (lo stesso luogo che oggi si chiama Fiore e che un tempo si chiamava Faraclonus, presso il quale, a causa di un incendio, il Monastero florense fu trasferito, con il consenso della Sede apostolica). Entro il 1226 le reliquie di Gioacchino furono traslate da San Martino di Canale nella nuova chiesa abbaziale e collocate nella cappella di destra del transetto, dove attualmente sono ricomposte in un'urna di bronzo e cristallo. Sul sepolcro di Gioacchino fu inciso il distico iniziale di un inno di Pietro di Matera:

Hic Abbas Floris/ coelestis gratia roris

(Questi è l’Abate di Fiore, / grazia di rugiada celeste).

Il complesso Abbaziale (FotoCelerPaolini)
Il complesso Abbaziale (FotoCelerPaolini)

Il complesso abbaziale

Frate Giuliano, il maestro di fabbrica del nuovo complesso abbaziale, ebbe come modello architettonico lo stile romanico-gotico, tipico dell'ordine dei cistercensi, secondo i principi codificati da Bernardo di Chiaravalle nel XII secolo: un chiostro quadrangolare al centro, chiuso dalla parete meridionale della chiesa e dalle ali conventuali; la chiesa orientata lungo la direzione sacra, con l'entrata a occidente e la facciata absidale rivolta a oriente verso Gerusalemme e Nazareth.

La chiesa

La Chiesa ha una struttura alta, maestosa, solennemente disadorna, con muri perimetrali spessi che sostengono senza contrafforti la copertura; definita da G. Martelli "particolarmente interessante ed originale". L'impianto spaziale evidenzia varianti e peculiarità introdotte dai Florensi rispetto alla coeva architettura cistercense. L'iconografia della chiesa è caratterizzata da alcuni aspetti:

- la lunghissima aula a tetto che si conclude in un coro rettangolare con volta a botte acuta;

- le due ali del transetto che non si aprono direttamente sul vano della chiesa e formano, su due piani, quattro cappelle separate;

- la scenografica facciata absidale.

Il portale

Lo splendido ed elegante portale archiacuto in bianca pietra calcarea, iscritto in un rettangolo leggermente sporgente come nella chiesa abbaziale cistercense di Fossanova, è sormontato da un grande rosone e si presenta come uno degli elementi più elaborati ed articolati dell'intera struttura. Alcuni studiosi hanno evidenziato gli influssi cistercensi mutuati dalla cattedrale di Cosenza, ricostruita dopo il terremoto del 1184 ed inaugurata alla presenza dell'imperatore Federico II nel 1222. Probabilmente anche le maestranze impiegate a Cosenza furono utilizzate a Faraclonus.

La navata

La pianta della chiesa abbaziale è caratterizzata da una grande navata non voltata, di notevoli dimensioni e con direzione sacra culminante a est nell'abside rettangolare. Dal rosone della facciata occidentale e dalle sei alte monofore, poste sulle slanciate pareti laterali, filtra una luce che tiene l'aula in uno stato di penombra. Le pareti sono spoglie di ornamenti e, secondo le Consuetudines dettate da san Bernardo, sono nude e prive di ogni curiositas dipinta o scolpita, di qualsiasi forma di arte figurativa e di orpelli decorativi che avrebbero potuto far trasparire "sontuosità e superfluità, attirare curiosità" e distrarre i monaci ed i fedeli nella concentrazione della preghiera. Secondo G. Martelli "forse un arco trionfale divideva la navata dalla parte terminale di essa" e la zona d'intersezione tra il transetto e l'abside doveva essere coperta da una volta a crociera con al centro innestato il tiburio.

Le cappelle laterali inferiori

Le cappelle laterali inferiori si aprono sul presbiterio con una porta ad arco ogivale e sono orientate nello stesso senso della navata. Ciascuna cappella è costituita da un'aula rettangolare voltata con doppia crociera, illuminata da una monofora archiacuta e dotata di abside piatta con volte a botte spezzata. La cappella di destra è dotata di quattro porte e si configura come il più importante spazio distributivo del complesso abbaziale. Dalla prima porta si entra nella sagrestia, che aveva l'accesso sulla sala capitolare e su altri ambienti monastici; la seconda, ubicata sul pianerottolo della rampa della scala, faceva accedere al piano conventuale; dalla terza si scende nella cripta; dalla quarta si accede al chiostro. La cappella laterale sinistra ha una porta rivolta ad ovest ed un'altra, chiamata "porta dei morti", che si apriva a nord e portava al cimitero dei monaci.

Le aule delle cappelle superiori

Le aule delle cappelle superiori si affacciano sul presbiterio con due grandi arcate a sesto acuto, sono coperte a mezze capriate e sono dotate di absidi piatte coperte con volte a botte spezzata. Le due aule sono collegate per mezzo di un camminamento visibile sulla parete di fondo dell'abside. I locali sopra le navate laterali, nelle cattedrali e nelle chiese cittadine, erano riservati alle donne; nella chiesa abbaziale florense, invece, avevano la funzione di cori notturni "per la celebrazione della messa e degli uffici divini da parte dei monaci malati, per rispondere anche agli obblighi di solitudine, meditazione e contemplazione sanciti nelle perdute Costituzioni gioachimite -scrive Giovanni Greco- e per le preghiere notturne".

Per Cadei, è leggibile un parallelo fra la chiesa abbaziale e la tavola XII del Liber figurarum, la "Dispositio novi ordinis pertinens ad tercium statum ad instar superne Jerusalem" (Disposizione del nuovo Ordine pertinente al Terzo Stato a somiglianza della Gerusalemme celeste): "se osserviamo la sezione trasversa in corrispondenza del coro abbiamo un'aggregazione di vani la cui corrispondenza alla parte superiore della Dispositio è troppo precisa per essere casuale - afferma lo studioso nella relazione tenuta al 1° Congresso Internazionale di Studi Gioachimiti -. Al vano unitario di coro si collegano le quattro cappelle ricavate nelle ali di transetto, pur restandone distinte come oratori autonomi. Certo nella traduzione dallo schema bidimensionale in architettura a tre dimensioni va persa la forma a croce, che si ripropone però nella pianta del coro e di tutta la chiesa. La complessità dei percorsi d'accesso alle singole cappelle.... sembra salvaguardare la distinzione tra i diversi gruppi di monaci che alcune proposizioni della Dispositio traducono, insieme al disegno, in vero e proprio isolamento reciproco anche in termini logistici. La navata chiude il parallelismo fra la tavola della Dispositio e la chiesa. Nella navata si esprime il momento dell'estensione di alcuni aspetti della vita monastica anche alle comunità del clero secolare e dei laici. L'articolazione dell'area strettamente monastica sembra esemplata anche sullo schema del diagramma del Libro delle figure (tav. XV) che illustra la visione di Ezechiele del misterioso cocchio che trasporta il trono divino. L'interpretazione data da Gioacchino del complesso intrecciarsi dei cerchi della visione di Ezechiele è figura, cioè profezia della croce e sulla forma della croce si imposta la nuova e perfetta organizzazione della vita monastica dell'età dello Spirito”.

L’abside

Una singolare e grandiosa trama di sette trafori caratterizza la suggestiva quinta absidale che conclude la lunga e imponente navata. Nelle successive chiese francescane sarà ripreso questa caratteristica della unicità della navata con il coro. La facciata absidale e le absidi delle due autonome cappelle laterali, chiuse sul transetto, sono rettangolari e non semicircolari come nelle prime costruzioni florensi. L'abside, rispetto alle cappelle laterali, sporge all'esterno. Tra le monofore e le superiori finestre circolari lobate, la muratura della parete si restringe ed un camminamento largo 70 cm collega le due aule dei cori notturni. Un insistito ritmo triadico propone il mistero della Trinità: tre severe monofore ad arco acuto, poste a tre metri dal piano pavimentale, sono sormontate da una grande finestra circolare esalobata che è attorniata, in disposizione triangolare, da altre tre piccole finestre circolari quadrilobate. Dal complesso ordito dei trafori del fondo del coro, una cascata di luce, "più che illuminare la chiesa, investe ed abbaglia. Oculi del genere sono costanti nell'architettura cistercense; inedito è il riferimento al triangolo ad un centro preponderante. L'unico caso cistercense di quattro oculi nella lunetta di volta del coro, quello dell'abbaziale di Silvanes, rileva Cadei, se ne discosta per la gerarchia e la forma diversa. Disposizione ed ampiezza degli oculi del coro della chiesa abbaziale florense sembrano invece riprodurre in architettura la struttura trinitaria nell'interpretazione data da Gioacchino e da lui disegnata col triangolo del Salterio dalle dieci corde, che ha al centro un cerchio simboleggiante l'unità della divinità nella distinzione delle tre persone", la tav. XIII del Liber Figurarum. Dello stesso avviso è anche Martelli, secondo cui "il singolare e grandioso motivo absidale delle grandi quinte di parete piena affiancanti il muro di fondo con i sette trafori che sembrano disposti a valore di simbolo, motivo che, con le strutture delle cappelle superiori, diviene il centro di una composizione architettonica di alto rilievo, fa pensare di trovarsi di fronte ad una disposizione espressione del frutto delle tormentate concezioni di Gioacchino da Fiore sul Mistero Trinitario e sugli effetti della luce, quali appunto si riscontrano in uno dei suoi Psalteri". È stata recentemente proposta da Pasquale Lopetrone la suggestiva ipotesi che il singolare quadro simbolico dei trafori luminosi absidali offrano, "attraverso una combinazione luce-ombra" l'immagine della Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor, così come narrato dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca.

L’altare di San Giovanni Battista

La grande pala lignea dell'altare maggiore, posta tra l'abside ed il transetto in corrispondenza del grande arco absidale, culmina in un grandioso fiore ornamentale con ricche volute in fastoso barocco, contenente la nicchia per la statua di san Giovanni Battista. L'opera fu commissionata dall'abate Gioacchino Tambati all'ebanista Giovanni Battista Altomare, appartenente alla scuola roglianese del "maestro dei merletti", per l'ornato ricco e meticoloso. Una iscrizione in latino, tracciata sul retro di una parasta del lato sinistro dell'altare, ne immortala l'anno di esecuzione e l'autore: "Joannes Baptista Altomare A Roblano Hoc opus suum Sculpsit Hoc Anno D.ni 1740 (Giovanni Battista Altomare da Rogliano scolpì questa sua opera in quest'anno del Signore 1740)".

"L'altare, riccamente intagliato e indorato, rappresenta un notevole lavoro di scultura in legno, che si rivela nell’opulenza delle decorazioni e nella tecnica dell’esecuzione - scrive Teresa Bitonti nella rivista del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti -. Il manufatto è ricco di elementi decorativi simmetricamente disposti, tra cui si evidenziano grosse girali, ampie volute, foglie d'acanto lunghe e sottili a pieno tondo che si intrecciano con testine alate. Manca il ciborio, mentre le parti laterali della mensa riportano decorazioni a spighe di grano ricche e mature, simbolicamente ricorrenti e di particolare effetto".

I seggi corali

Il coro ligneo dell'Abate Buffoni e l'altare maggiore di Giovan Battista Altomare rappresentano una sorta di memoria storica della chiesa abbaziale, documentando l'adeguamento alla moda barocca. Il restauro effettuato nella seconda metà del Novecento, nell'intento di riportare il monumento alle antiche forme, ha cancellato dalla chiesa la veste settecentesca, demolito le sovrastrutture ed eliminato le superfetazioni barocche. Di quel periodo rimangono, conservati attorno alle pareti absidali, i "Seggi corali" dei cistercensi, commissionati dall'abate claustrale Domenico Buffoni ad esperti artieri ebanisti e intagliatori roglianesi che decoravano le chiese della regione nel sec. XVII. Nel frontale dell'inginocchiatoio del seggio abbaziale, in una elegante cornice, si legge questa epigrafe: "R.MUS P.D. DOMCUS BUFFONI, S.T.D. ABBS HUIUS MRII FLORIS, PRAESES CONGNIS CISTERSIS CALABRIAE, ET LUCANIAE, EX ELEMOSINIS EVANGELICAE, PRAEDICATIONIS, CHORUM HUNC MIRIFICE CONSTRUI CURAVIT. ANNO D. 1685”

(Il Reverendissimo Padre Don Domenico Buffoni, Dottore di Sacra Teologia, Abate di questo Monastero di Fiore, Presidente della Congregazione cistercense di Calabria e di Lucania, si è preso mirabilmente cura dell'innalzamento di questo coro con le elemosine raccolte dalla predicazione evangelica nell'anno del Signore 1685).

Nel dossale è riprodotto a bassorilievo lo stemma dell'abate Buffoni, rappresentato da "uno scudo sovrastato da un cappello abbaziale e nel campo uno scaccato a quattro file, tre rose poste in fascia, tre cime di monti e sulla più alta un uccello indistinto avente sul capo una stella a otto raggi", spiega in una pubblicazione del 1928 Giacinto D’Ippolito. Il monumentale seggio abbaziale è al centro dei ventuno stalli del coro ligneo; la cornice è più sporgente ed è sorretta, come un baldacchino, da due colonnine con il fusto scanalato ed il capitello scolpito a foglie d'acanto. Gli scanni sono delimitati da braccioli intagliati a grifoni alati, "i ripiani sono abbelliti da volute con fiori penduli ai lati, i fianchi e il dossale sono disegnati con modanature arrotondate", chiosa G. Greco.

La cosiddetta cripta

Nella Cappella meridionale, una porta, posta sotto la scala che conduce alle celle dei monaci, immette in una ripida scaletta che fa giungere ai vani seminterrati, la cosiddetta Cripta. Probabilmente si tratta dell'antico oratorio di san Giovanni Battista costruito da Gioacchino da Fiore nel 1195 e che l'abate Matteo, dal 1215 in poi, integrò nel complesso abbaziale. Quest'antica chiesa è articolata su due aule mononavate con absidi quadrangolari e rispettive monofore di fondo ed una coppia di nicchie laterali.

Queste aule, "delle quali si era perso il ricordo", furono riportate alla luce nel 1928. Dopo l'emanazione della legge eversiva della feudalità, con un provvedimento del 13 febbraio 1807 fu soppresso anche l'ordine cistercense. La comunità monastica dovette abbandonare l'antico archicenobio florense; la chiesa abbaziale fu incorporata nella Chiesa parrocchiale e le ali conventuali furono consegnati dallo Stato al Comune con decreto del 23 dicembre 1814. Iniziò un lungo periodo di decadenza fino a quando l'archeologo Edoardo Galli fece ripulire la cripta "dalla terra e dalle brutture ", restaurare la nicchia per collocarvi l'urna con le ossa dell'abate ed incidere nel granito la celebre terzina che Dante dedicò a Gioacchino nella Divina Commedia, "... e lucemi da lato/ il calavrese Abate Giovacchino/ di spirito profetico dotato".

La mostra delle tavole del Liber Figurarum

Il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti ha allestito, nella nava­tella esterna della chiesa abbaziale, una mostra permanente delle tavole del Liber Figurarum, "la più bella e im­portante raccolta di teologia figurale e simbolica del Medio Evo". Nelle figurae sono fissate, in grandi quadri simbolici, le strutture portanti e l’im­maginazione caleidoscopica del pen­siero del fondatore dell’ordine flo­rense, "basato sulla teologia trinitaria della storia e sulla esegesi concordi­stica della Bibbia". Sono disegni che presentano un pensiero senza biso­gno della parola scritta, tranne il caso di qualche breve didascalia, un pen­siero teologico detto per immagini, grazie ad una visione di un mondo in cui tutto è collegato e concatenato, senza soluzione di continuità. Le ta­vole XXII e XXIII fanno parte del Co­dice Corpus Christi College 255 A di Oxford; un codice realizzato, secon­do il paleografo Troncarelli, nel cen­tro scrittorio del monastero di San Giovanni in Fiore. Le altre tavole fan­no parte del Codice di Reggio Emilia, realizzato dopo quello conservato ad Oxford, tra il 1220 ed il 1240, frutto di scriptoria cosentini strettamente le­gati al centro di irradiazione del mes­saggio di Gioacchino da Fiore.

*Presidente Centro internazionale di Studi gioachimiti