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di Anna Foti
8 agosto 2022
06:29

Alla scoperta di Palizzi: la luna sui calanchi, il profumo di gelsomino e i colori del mar Ionio

Il borgo intriso di storia antica, descritto dal geografo greco Strabone come confine tra le antiche colonie di Rhegion e Locri e narrato dal viaggiatore inglese Edward Lear

Destinazioni

Paesaggi lunari di notte e spiagge assolate di giorno, tutto questo in un solo unico magico luogo, Palizzi sulla costa ionica di Reggio Calabria. Qui lo sguardo sconfina tra montagne bianche e mare azzurro, echi antichi risuonano nel borgo incastonato tra le rocce mentre le onde sulla battigia instancabilmente intonano un canto mai uguale a sé stesso.

Il profumo del gelsomino

Un profumo di gelsomino, un tempo molto più intenso, ancora resiste per saldare il passato, in cui le donne al buio si alzavano per raccogliere i fiori prima che il sole fosse alto, nei campi disseminati lungo la costa, con il presente in cui quel contributo femminile in un mondo maschile rischia di essere dimenticato. 


Spiagge in larga parte selvagge che conservano un'atomsfera primigenia, a tratti abbandonate all’assalto del mare e delle onde, luogo di elezione della specie di Tartaruga marina Caretta Caretta che sovente vi nidificano, deponendo le uova.

Le estati al mare e sotto le stelle

Da una parte, il mare Ionio sconfinato che smargina l’orizzonte estendendo lo sguardo e dilatando il respiro, e dall’altra i Calanchimontagne bianche scolpite dal tempo sulle quali l’erosione generata dallo scorrimento delle acque su rocce argillose, come la mano sapiente di un artista, ha plasmato con armonia la sua opera. Nella Marina, durante le notti d’estate ci si ritrova, dopo la lontananza e la nostalgia, attorno al fuoco di Prometeo che divampa nei falò sulla spiaggia, sotto un cielo stellato terso come se si fosse di molto sopra il livello del mare piuttosto che sul mare. Dopo il saluto di Venere al crepuscolo, le stelle raccontano storie antiche: da un lato Scorpione si staglia sopra il mare mentre l’Orsa Maggiore si corica dietro i Calanchi con Deneb, Altair e Vega a dominare la volta celeste. Uno spettacolo naturale senza eguali.

Il vino rosso e i fratelli Misefari

Tra l’Aspromonte e il mare Jonio, la natura meravigliosa incontra la storia, il culto mariano di Sant’Anna e della Madonna del Carmelo e il gusto di un vino rosso forte e identitario, frutto di pregiati e antichi vigneti e riconosciuto con il marchio Igt (Indicazione Geografica Territoriale) che vale a questo luogo la denominazione di Città del Vino. Uno dei cuori pulsanti dell’antico Meridione di Italia – di cui questo è il luogo più a Sud – noto proprio con il nome di Enotria (dal greco ôinos vino). Palizzi fu patria dell’anarchico, filosofo e poeta Bruno Misefari, conosciuto anche con lo pseudonimo anagrammatico Furio Sbarnemi, fratello del comunista storico e poeta Enzo, del calciatore Ottavio e del biologo e attivista Florindo.

La storia antica

Tra i siti paleolitici più antichi d’Europa, già bene del monastero di Sant’Angelo di Valle Tuccio, poi casale della contea di Bova, nel XIV secolo feudo venduto da Bartolomeo Busca a Guglielmo Ruffo di Calabria, conte di Sinopoli, possidente di un grande tenimento della Calabria Meridionale, meta all’inizio del Seicento anche del barone Francesco Nesci giunto dal Messinese, Palizzi – la cui etimologia è contesa tra i termini greco politsion, nel senso diminutivo di polis (città), e il termine polìscin (probabilmente luogo ombroso) – è diviso dalla fiumara nelle due contrade Murrotto e Stracia e consta di quattro frazioni: Palizzi Superiore con l’antico Castello, Palizzi Marina (la più popolosa con quasi duemila abitanti) con i suoi Calanchi e il lungomare più corto d’Italia, Spropoli e Pietrapennata con il suo paesaggio alpestre alle pendici del Monte Punta Gallo, a quasi settecento metri di altezza sul livello del mare, con la sua silenziosa e incantata vallata dell’Alica. Sotto il ponte, tra le contrade Murrotto e Stracia, la sua fiumara che, secondo alcuni, divideva l’antica Rhegion da Locri Epizefiri; un confine strategico tra due colonie che però, secondo altri, era rappresentato invece dalla fiumara dell’Amendolea.

Ne riferisce il geografo greco Strabone (I secolo a.C.): «Il fiume Alece, che divide il territorio di Rhegion dalla Locride passando attraverso una profonda valle, ha questa particolarità riguardo alle cicale: quelle sulla riva locrese cantano, mentre quelle sull’altra riva non hanno voce. Si congettura che ciò ne sia la causa: le seconde si troverebbero in un luogo ombroso, cosicché le loro membrane sarebbero sempre umide e non si distenderebbero mai; le prime, invece, stando in un luogo soleggiato, avrebbero le membrane asciutte e simili al corno, così da essere ben adatte ad emettere il suono». (Strabone, Geografia, VI, I, 8).

Il viaggio a piedi di Edward Lear

La giornalista e scrittrice di origini reggine Adele Cambria, pensava che la Calabria per storia, mito e bellezza fosse terra di elezione, terra degli Dei e che il popolo calabrese fosse per vocazione non un popolo emigrante ma un popolo viaggiatore, spinto ad andare, a partire e poi chiamato sempre a tornare. Proprio nel segno del viaggio la storia di questo borgo è divenuta ancora più universale. Anche chi lo ha scoperto venendo la lontano, ha infatti colto l’unicità di questo lembo di terra, punta estrema del Meridione d’Italia. È Palizzi con il suo borgo e la sua marina a schiudersi così, come uno scrigno, ad ispirare incanto e a muovere la penna sul taccuino di un viaggiatore illustre.

«Le strade di Palizzi, dove forse alcun inglese è ancora disceso, erano gremite di bambini completamente nudi e abbronzati (…)». La vitalità di questo luogo ha, infatti, affascinato anche l’illustratore e scrittore inglese Edward Lear, che nel suo Diario di un Viaggio a Piedi, ha descritto così il suo arrivo a Palizzi, il 3 agosto 1847: «Passando la fiumana ai piedi della cresta coronata dalla città elevata, siamo ancora una volta saliti per la scura falda della collina coperta di cisti, con gigantesche querce dai rami nudi in primo piano e la vasta montagna blu d’Aspromonte coperta di foreste che chiudono tutto il lato Sud del paesaggio. Mentre il momento per la nostra sosta di mezzogiorno stava per avvicinarsi, e per il caldo cominciava ad essere fastidioso, siamo giunti in vista di Palizzi, un paese molto strano, costruito attorno ad una roccia isolata, dominante una delle tante strette vallate aperte al mare. Venendo, come noi abbiamo fatto, dall’altopiano siamo arrivati al di sopra di Palizzi, il cui castello è visibile solo dal lato nord, così, per arrivare al livello del fiume ed alla parte bassa dell’abitato, è necessario discendere una scala perfetta tra case e pergolati, aggruppati nel vero stile calabrese fra sporgenze coperte di cactus da una roccia all’altra dove sembravano crescere. (…) mi sono spostato a cercare un po’ d’ombra per ripararmi dal soffocante caldo e, raggiunto il castello, mi sono ben presto trovato al centro delle sue rovine, da cui ho colto incidentalmente una scena pittoresca, vale a dire un casolare, una pergola, sette grandi porcellini, un uomo cieco e un bambino (...)».

Il Castello monumento nazionale

Alle pendici di una rupe di arenaria, incastonato è il borgo di Palizzi Superiore dove si erge, a 272 metri sul livello del mare, un antico castello di origini medievali, forse risalente al XIII secolo o forse edificato dai Ruffo nel XIV secolo. Negli anni, numerosi sono stati gli interventi ai quali è stato sottoposto e che lo hanno condotto all’aspetto con cui si mostra adesso. L’impianto difensivo venne rimaneggiato dai Romano, dai Colonna e dagli Erbo nel XVI secolo, dagli Arduino di Alcontres nel XVIII secolo e poi ristrutturato e ampliato dal barone Tiberio De Blasio nella seconda metà dell’Ottocento. Durante i bombardamenti degli Alleati su Reggio, vi si rifugiò Carlo De Blasio. Che il castello, dichiarato Monumento Nazionale dal Ministero ai Beni culturali, fosse cinto da mura con due torrioni emerge da un certificato del Mastro d’atti di Palizzi, Saverio Grimaldi, di fine Settecento. Non solo mura di cinta ma anche una grande scala con una sola finestra, la cucina, un’anticamera, poi altre stanze, magazzini e cantine e fuori le alte mura di cinta con poderosi bastioni, bocche da fuoco lungo il ciglio del costone roccioso con feritoie. Anche due torri, una cilindrica merlata sul versante est e una angolare sul versante opposto. Nella roccia viva ricavate le carceri.

La devozione a Sant’Anna e alla Madonna del Carmelo

Vicoli stretti e catoi, le carattersitiche cantine seminterrate dove i contadini custodivano le botti di vino rosso e gli attrezzi di lavoro, segnano un percorso suggestivo che dal Castello conduce al borgo e viceversa. Sulla piazza principale si affaccia la Chiesa di Sant’Anna, alla quale il Paese è devoto, con la statua in marmo della Santa con la Madonna in braccio della scuola del Mazzolo in fondo all’abside ed un complesso di statue, tra cui la scultura lignea dedicata a Sant’Anna, commissionata nel 1827 dall’ultimo barone di Palizzi, Tiberio De Blasio. Alla seconda metà del Cinquecento risale la cupola bizantina dell’edificio seicentesco con pianta a croce Latina.

L’altra chiesa del borgo fu eretta alla Madonna del Carmelo. Essa risale alla seconda metà del 1500 e la sua denominazione spesso comprende anche la dicitura “fuori dalle mura” (“extra moenia”), poiché fu costruita dopo il completamento del tracciato delle mura di protezione. Il culto mariano di Sant'Anna a Palizzi, infatti, si intreccia con quello della Madonna del Carmelo, anche durante la processione a luglio. Una tradizione antica e ancora molto sentita che affonda le radici in un profondo sentimento religioso che continua a scrivere la storia di questo luogo.

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