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di Anna Foti
11 febbraio 2024
21:15

Le originiTra le maschere della tradizione del Carnevale italiano che sfilano a Venezia anche quella calabrese di Giangurgolo

Ispirata a Giovanni, realmente vissuto a Catanzaro, nel Seicento sarebbe nata dalla penna degli autori di teatro napoletani, conquistando subito la commedia dell'arte e i teatri. Si diffuse anche a Reggio per ridicolizzare i dominatori spagnoli

Storie

Un grande naso, una spada pendente sul fianco e il cappello a cono. Un corpetto stretto e colorato sopra una bianca camicia e pantaloni a sbuffo a righe gialle e rosse, colori del regno degli Aragona ma anche di Catanzaro. Ecco Giangurgolo, la maschera che rappresenta la Calabria nelle principali manifestazioni carnevalesche di tutta Italia. Pure quest'anno invitata a sfilare al Carnevale di Venezia, con le maschere di altre otto regioni individuate dall’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia per celebrare i Carnevali della Tradizione, negli spettacoli diffusi in Piazza San Marco e nei teatrini del Venice Carnival Street Show.

Ad impersonarlo l'attore catanzarese Enzo Colacino, componente del direttivo del Centro coordinamento Maschere italiane, come rappresentante della nostra regione.


La storia e le origini

Fonti letterarie collocano le origini di questa maschera nella Napoli del Seicento. Nel 1618, infatti, l'attore Natale Consalvo avrebbe vestito i panni di Capitan Giangurgolo, personaggio nato alle pendici del Vesuvio ma ispirato ad una persona di nome Giovanni realmente esistita e vissuta a Catanzaro.  

Il nome aveva derivazione dal Santo del giorno del suo ritrovamento, il 24 giugno. Era stato abbandonato in fasce nel 1596 accanto al convento delle Suore di Santa Maria della Stella di Catanzaro. Si narra che cresciuto, durante una battuta di caccia, il giovane dopo il vano tentativo di salvare uno spagnolo aggredito da briganti, di costui fu nominato erede in segno di gratitudine. Unitamente alle ricchezze ricevette anche una lettera in cui si rivelava come salvare la città dalla dominazione spagnola. Alla stessa persona si ispirò per il suo nome Alonso Pedro Juan Gurgolos, da quel momento in lotta contro l'occupazione spagnola, anche con la sua attività teatrale. Iniziò, infatti, a mettere in scena spettacoli satirico politici. Un'attività che lo espose al punto tale da essere motivo di condanna a morte. Fuggì in Francia. Di ritorno a Catanzaro afflitta dalla peste, ritrovò il suo amico Marco ma contrasse anche lui il male che gli fu fatale. Morì.

Le ipotesi sulla nascita del nome

Il nome Giangurgolo sarebbe anche legato al significato di "bocca larga" o "grande bocca", propria di una persona ingorda, dotata di appetito insaziabile, ma soprattutto spaccona, di molte parole e di pochi fatti. Il nome richiamerebbe anche l'unione tra mal auguranti uccelli notturni (gurgolo, gufo, civetta) e lo Zanni nella Commedia dell’Improvviso, da qui Giangurgolo.

Insomma variegato il ventaglio di ipotesi legate all'origine del solo nome di questa maschera che in Calabria ha riconosciuto la sua terra eletta, spopolando nella Commedia dell'Arte e dominando la scena tanto in strada quanto in teatro. Essa trovò anche spazio nei più grandi teatri italiani accanto alle blasonate maschere di Pulcinella e Arlecchino.

Sono prevalentemente negative le sue caratteristiche: ubriacone, traditore, bugiardo, ladro, spione e infido. Un calabrese, dunque, avrebbe ispirato gli autori napoletani del Seicento. Ne sarebbe nata una maschera grottesca, variante di quella del Capitano sbruffone e vanaglorioso.

La diffusione a Reggio

Pare che la maschera di Giangurgolo sia approdata poi a Reggio per ridicolizzare i cavalieri siciliani "spagnoleggianti" e decaduti, intorno alla metà del XVII secolo.

La maschera dunque sarebbe nata come caricatura dei dominatori spagnoli, inutili eroi, bravi soltanto con le chiacchiere, boriosi dediti alla ingordigia, arroganti, millantatori e codardi, dei tracotanti degli ufficiali spagnoli, irriverenti ed insolenti, presenti a quel tempo nel Meridione.

Giangurgolo equivarrebbe a una delle varianti di Zanni, un tipico personaggio della commedia dell'Arte. La stessa parola Zanni è rimasta nel dialetto reggino, in espressioni come "fari u Zannu" ossia "fare uno scherzo" o l'espressione "Zanniare" che vuol dire "scherzare" appunto.

 

 

 

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