Quel giovanilismo vecchio di Enrico Letta

La sarcastica provocazione di Antonella Grippo sull’ultima “proposta indecente” del segretario del Pd che riesce sempre, con rara perizia, a non stare sul pezzo

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di Antonella Grippo
24 maggio 2021
11:16
Enrico Letta
Enrico Letta

Lui non ha i tempi. Men che meno, quelli comici. Riesce sempre, e con rara perizia, a non stare sul pezzo. Si guarda bene persino dal lambirlo. Il pezzo. Vive di fantastiche asincronie che gli consentono una sorta di oblìo del contesto. Del resto, già al tempo del suo insediamento alla guida del Pd, esordì con parole d'ordine che ai più apparvero incongrue, stante il frangente storico pandemico e di rovinosa gracilità economica. Lo ius soli o "prima i giovani e le donne" non scaldarono propriamente i cuori italici. Cose nobilissime, beninteso. Se non urgessero altre, congiunturali priorità.

Enrico Letta è così: se ne fotte. Del consenso, del buon senso e del comune sentire. Ama fare il fighetto del metapensiero. Altro che hic et nunc! Da qualche giorno gli è tornata la fissa dei giovani. Di qui la folgorazione: una patrimoniale progressiva per le successioni sopra il milione di euro, grazie alla quale elargire una dote ai più "freschi" di età anagrafica. La cosa, di suo, pur non essendo sconcia, risulta inutile. Infatti, le risorse, così prelevate, producendo modeste paghette per la platea dei destinatari, non risolverebbero alcunché.


C'è di più: il sospetto che Letta stia issando il solito, rancido giovanilismo di bandiera, i cui prodromi, in verità, non è possibile rintracciare propriamente a sinistra. L'ultimo nerboruto indizio storico della teologia giovanilistica la si deve alle Camicie Nere, fulgide icone del fascistico vigore maschio. Marinetti, in realtà, ne "Il Manifesto del futurismo", aveva cantato la forza fisica, lo sprezzo del pericolo, l'architettura muscolare come struggente poesia del corpo guerriero. Giovane, d'eterna e divina fattura. L'artrite reumatica, ad esempio, sintomo di umanità flebili, fu esiliata dal perimetro delle "primavere di bellezza" fulgidamente tiranniche. Poderose protesi di Dio! Nel frattempo, altre retoriche simili sono andate via via innervando le sequenze del fluire storico.

Ad ogni buon conto, "l'imperativo anagrafico delle avanguardie" di conio marinettiano, mutatis mutandis, rischia di insistere lungo la nostra attualità, seppure sotto mentite spoglie. La differenza sostanziale, rispetto ai camiciai neri dei primordi, sta nella discriminante da "know how", quale infallibile scienza ad esclusivo appannaggio del pivellume prescelto. In luogo del virgulto del Fascio, insomma, lo stagista di Harward o il borsista di "arianica" razza bocconica. Se non disponi del background di erranza erasmica, ti fotti. Come dire: arretrino le masse becere, ipertroficamente prostatiche! Arretrino pure i metalmeccanici anzianotti, dal generoso, esondante flusso colestorolico. Questo non vuol dire che i giovani non debbano essere sostenuti, incoraggiati. Lo si faccia, però, in modo da non innescare rancorosi "bipolarismi di classe": i vecchi contro i ragazzi; gli alpini contro i forestali, la polenta taragna contro lo spezzatino; Carmen Consoli contro Nicola di Bari. Altrimenti, più che dire "qualcosa di sinistra", si finisce con il mimare cazzate già edite. In rapida "successione". Questa volta sì, da tassare.

Giornalista
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