Ci vogliono far credere la Calabria sia irrecuperabile per continuare a spolparla: riprendiamoci il nostro futuro

La nostra regione può essere la sorpresa delle regionali d'autunno ma solo se i calabresi avranno il coraggio e la forza di non cedere allo scetticismo, di non ascoltare chi dice che, tanto, è tutto inutile perché ci vuole rassegnati e succubi (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Pino Aprile
13 giugno 2021
10:13

«Non cambia mai niente, non cambierà mai niente: sono sempre gli stessi». E se si guarda con superficialità alla scacchiera politica (e più ancora dei poteri) della Calabria, come fai a dare torto a chi lo dice? Eppure, non è così. O meglio: è così, sarà così, finché si accetterà l'idea che non può essere diversamente. Non solo, chi enumera tutte le “ragionevoli ragioni” per cui non cambierà mai nulla, appare saggio, con i piedi per terra; chi, a dispetto delle situazioni “chiare”, non le accetta e fa quel che può per migliorarle, sembra un illuso, un folle che non si rende conto di come stanno davvero le cose, di come “va il mondo”. I saggi hanno ragione sempre, i folli una volta sola, quella in cui dicono: «Avete visto che si poteva cambiare?». I primi ci ragionano, i secondi ci credono.

La Calabria non è irredimibile, come tutto sembra far credere e vogliono farci credere, per continuare a spolparsela, svuotandola di ricchezza e futuro. Da decenni i calabresi sono ostaggio dell'immonda rete delle masso-mafie, logge in cui i poteri comunque strappati (con il crimine, la corruzione, la complicità di politici e imprenditori collusi) si incontrano e trasformano il bene di tutti in bene privato. Li conosciamo i nomi di quei ladri, alcuni possiamo citarli, perché li troviamo nelle inchieste della magistratura, nelle dichiarazioni di testimoni e collaboratori di giustizia, sul banco degli imputati nei processi, sempre più numerosi (grazie alla potente stagione di una schiera di magistrati e investigatori, da Catanzaro a Reggio Calabria, Vibo Valentia...). Altri non puoi dirli senza rischiare querela, ma lo sanno pure i sassi chi sono quei boss, quei politici, quei prestanome, quei professionisti “del giro” che “io che c'entro? Faccio il consulente, i mafiosi sono loro”, le banche che “non fanno storie”...


La contrapposizione fra quel potere che prostituisce le istituzioni alle masso-mafie, la ricchezza di pochi e sporchi che distrugge i diritti di tutti (a partire dalla Sanità) è sempre più intollerabile. La reazione è un numero crescente di iniziative sociali, economiche, che sfuggono al controllo di quei poteri e vi si contrappongono. E sempre maggiore è pure la consapevolezza (“meridionalista”, vogliamo dirlo?) delle storture nazionali a danno del Sud e che, contro la decenza, l'evidenza e ormai a fatica, troppi parlamentari eletti nel Mezzogiorno difendono per disciplina di partito.

I segnali di questa crescita di cognizione e insofferenza (e di perdita di controllo del consenso) ci sono stati, ma non sono stati colti. Il potere è conservatore: tende a preservare gli equilibri e le “cordate” che ne garantiscono la durata. Ma vorrei ricordare che nelle elezioni regionali del 2015 (quindi di quelle votazioni considerate “clientelari” e non “ideologiche”, come le europee), tutto il Sud votò per il centrosinistra e, per la prima e unica volta, tutte le Regioni del Sud ebbero un presidente del Pd, come il capo del governo, Matteo Renzi. La speranza di un'azione comune per recuperare i ritardi imposti in un secolo e mezzo al Sud da una politica nazionale nord-centrica (treni, strade, grandi opere, Centri di ricerca...), però, venne subito delusa. Tre anni dopo, la colossale migrazione di voti a favore del Movimento 5 stelle che, grazie a quella storica infornata di consensi da Sud, divenne il primo partito italiano. Ma ancora una volta, il Mezzogiorno si sentì tradito: il M5S andò al governo con la Lega, perdendo il patrimonio di voti a favore dell'alleato; poi con il Pd.

Quella partecipazione in massa (nel Mezzogiorno, la si ebbe anche contro il referendum lanciato da Renzi, che prese percentuali bulgare di “no”) era figlia di una grande speranza e ora il rischio è che la delusione (una volta, due, tre...) induca molti allo scetticismo, a disinteressarsi della politica, a non andare a votare. Proprio quello su cui contano quei poteri marci, che possono sperare di vincere, in caso di scarsa partecipazione, con la quota di voti, sempre più instabile, che controllano.

Non bisogna generalizzare; il disastro della Calabria ha dei responsabili ultra-noti: il centrodestra e il centrosinistra, a legislazioni alternate, che manco se si fossero messi d'accordo... Ora, nel contendersi le macerie di tanti anni di malgoverno regionale, il Pd è nel caos fra periferia e centro, incapace di produrre un candidato forte e condiviso, almeno finora; nel centrodestra la Lega candida il facente funzione presidente, Nino Spirlì, e lo s-candida in 48 ore, poi l'annuncio che sarà annunciata, in 48 ore, la candidatura di Roberto Occhiuto, che però si annuncia da solo, non arrivando l'annuncio “da Roma”, nel tempo annunciato; il Movimento 5 stelle, che in Calabria non ha mai avuto responsabilità di governo, attende indeciso a tutto, mentre continua ad evaporare come una medusa sulla spiaggia.

Ma nei partiti di centrodestra e centrosinistra ci sono tante persone di valore che si sono dannate l'anima per anni, nel tentativo di sottrarre le formazioni politiche di appartenenza alle grinfie di quei clan e, in certi casi, delle masso-mafie. Ma, dinanzi alla riconferma delle stesse logiche, persino delle stesse persone, spesso sospette di essere espressione di poteri contigui o collusi con le masso-mafie, forse è l'ora di scelte diverse, di una uscita da quel mondo, per non rischiare, restandovi, sia pure con le migliori intenzioni, di apparire complici.

Dall'inizio dell'anno, le Procure fanno in Calabria una cinquantina di arresti a settimana, quando più, quando meno; specie nella parte centromeridionale della regione. E non abbiamo idea di quanto possa accadere sino alle elezioni d'autunno: come sarà cambiata la scacchiera da qui a quattro mesi?

I calabresi rischiano, per stanchezza, delusione, di adeguarsi all'idea che viene diffusa di loro: i migliori se ne vanno, quelli che restano si adeguano, quelli che combattono sanno che non possono vincere. Non è vero; non è vero; non è vero. Chiunque faccia un giro serio della Calabria si sente minuscolo dinanzi alle tante e meravigliose prove di coraggio, di solidarietà, di fiducia negli altri e nelle proprie capacità di non piegarsi alla prepotenza dei peggiori. Ma tutto questo “passa” poco, viene considerato come qualcosa di bello, lodevole, che però non potrà cambiare le cose.

Non è così. I grandi mutamenti sociali avvengono quando meno te lo aspetti e quello che non succede in cento anni accade in cento giorni. È come se ogni azione che porta alla svolta (una denuncia, un diritto difeso e non chiesto come favore, una scorciatoia rifiutata, una prepotenza non subita) sia un granello che viene messo nel piatto in alto della bilancia. Non importa quanti ne serviranno, la cosa certa è che non succederà nulla per tutto il tempo (e qualcuno ci vedrà la prova del fatto che “così vanno le cose”); finché non arriva chi mette l'ultimo granello, quello che cambia l'equilibrio: il piatto cala, il sistema è capovolto, solo perché quell'ultimo granello si è aggiunto ai tanti che sembravano inutili.

La Calabria può essere la sorpresa alle elezioni d'autunno, se solo gli onesti avranno il coraggio di essere quel granello di sabbia decisivo: un “no”, un gesto, un voto. Nessuno può dire che non sia proprio il vostro quello che farà la differenza.

Giornalista
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