In Calabria è tempo di “slupatura” sociale: come negli ulivi, via il legno marcio per rinascere sani

L’azione della magistratura è come quella del contadino che con un arnese affilato e ricurvo elimina la parte guasta in ombra per consentire alla pianta di crescere bene e produrre frutti. Mai come in questo periodo è incisiva e instancabile. Un’occasione unica da non sprecare (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Pino Aprile
30 maggio 2021
08:09

È tempo di slupatura, per il Sud e per l'Italia intera. La slupatura è un'operazione periodica dell'uomo a beneficio dell'ulivo, che lo ricambia producendo di più e meglio. Fuor di metafora, è slupatura quello che stanno facendo le forze migliori della società meridionale, dai procuratori e le squadre antimafia (Nicola Gratteri ne è uno dei migliori esempi), alle organizzazioni sociali di base che saltano intermediazioni parassitarie e spesso criminali e danno vita a un'economia non di rapina, sana, che garantisce produttore e consumatore (il gruppo Goel sulla Calabria jonica ne è un esempio dei più luminosi).

L'ulivo non è un albero (è l'uomo che, con la potatura, gli dà, per suo comodo, quella forma), ma un arbusto infestante, come le siepi, i rovi. Dopo una certa età (tempo che cambia secondo le latitudini e al Sud può essere anche più che doppio che al Nord), diventando sempre più grande, non ce la fa più a produrre tanto legno da avere un tronco pieno, che comincia a svuotarsi al centro. Più il diametro della pianta si allarga, più si restringe la corona legnosa del tronco, tanto che alla fine il tronco si spacca, si divide in due, tre, sino a cinque parti che si separano (anche le radici si staccano e ogni parte si porta via la propria “dote”) e sembrano piante diverse, messe un po' troppo vicine da un contadino poco accorto.


A quel punto, accade qualcosa di straordinario, quasi magico: l'ulivo “cammina”, perché le parti ormai autonome del tronco crescono dal lato da cui prendono il sole e marciscono da quella in ombra. Il patto simbiotico fra uomo e ulivo consiste in questo: l'uomo cura la pianta, la libera dei parassiti, dei rami pesanti e improduttivi che potrebbero spezzarla e del legno marcio; e l'ulivo concentra le sue energie nel rafforzare il tronco sano, produrre una buona foliazione e tante olive. La vita del tronco, così, invece di durare 100-200 anni, a volte il doppio, alle nostre latitudini, può arrivare a 800 anni e oltre (le radici, invece, cambiano più o meno ogni trent'anni).

La slupatura è parte importante di questo scambio di favori fra uomo e ulivo e consiste nella rimozione, con una affilata zappetta ricurva a “u”, del legno marcio dalla parte del tronco in ombra, sino ad arrivare al legno vivo, che così non rischia di essere corrotto da quello in decomposizione. La parte sfatta rimossa è utilissima per far divampare il fuoco nel camino.
Uno dei migliori esempi di “ulivi che camminano” è sulle falde del Pollino, guardando lo Jonio, sulle sponde del fiume Garga, in territorio di Saracena. Il professor Leone Salvatore Viola dimostrò che furono piantati da profughi troiani che fondarono lì un castrum, un accampamento fortificato, circa 3.200 anni fa.

Dall'inizio di gennaio di quest'anno, la sola Procura di Catanzaro sta arrestando una cinquantina di presunti delinquenti alla settimana, quando più, quando meno. I processi poi ci diranno di quanto e cosa sono effettivamente responsabili e quali accuse saranno provate. E metteteci quanto stanno facendo le altre Procure, a partire da quella di Reggio Calabria. Cos'è questa se non una colossale opera di slupatura di una società che ha lasciato per troppo tempo il lato marcio contaminare la parte sana della comunità?

Nella sesta puntata della nostra trasmissione sul processo Rinascita Scott abbiamo riportato le dichiarazioni di un commerciante che ha denunciato i propri aguzzini e usurai: se uno solo lo fa, spiega, ha bisogno di essere difeso, tutelato dalla vendetta dei malvagi, ma più si è a denunciare, più tutti sono al sicuro, liberi, perché non possono colpirci tutti, non servirebbe a nulla. Ed è verissimo: l'esperienza dei ragazzi di “Addiopizzo”, a Palermo, portò a questo. Tanto che in una intercettazione ambientale, si udiva un boss dire che non conveniva più tentar di imporre il pizzo, perché: “Non lo pagano e ci denunciano”. A riprova che il crimine sfrutta gli spazi che gli vengono lasciati aperti.

E la società civile, dice il procuratore Gratteri, ha il dovere di occupare gli spazi che lo Stato sottrae al malaffare. Lo Stato non è un monolite, è noi allo specchio, è la cosa pubblica gestita dai migliori e dai peggiori di noi, per servire la comunità o servirsene; lo Stato è Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ed è anche la parte marcia dello Stato sospettata di aver usato la mafia per ucciderli. Il bene e il male vanno allo stesso supermercato, magari si incontrano in chiesa alla messa della domenica, accompagnano i figli alle stesse scuole, diventano consuoceri di giovani che si innamorano oltre le storie delle loro famiglie.

Il contadino che slupa ha un compito più facile, perché la metafora non regge sino in fondo: il legno marcio e quello sano hanno un confine, il limite della slupata; nella comunità la cosa non è così netta e il rischio di sbagliare è sempre presente. Ci saranno errori nell'opera di slupatura dello Stato, nell'azione politica di chi potrebbe scoprire compromissioni inaccettabili nel suo partito, in tante scelte quotidiane, dagli amici di calcetto (per una foto, il sindaco di Gioiosa Jonica è stato cinque anni in carcere, prima di essere prosciolto da ogni accusa) ai commensali di una cena...

Cosa voglio dire? Che le insidie possibili sono tante e tali da far dire: così non si può vivere, la Calabria è irredimibile. Davvero? E avremmo coraggio di dirlo ai ragazzi di cooperative che creano aziende in terra di mafia, contro la mafia o persino con e su beni sottratti alla mafia? O ai comitati dei quartieri più degradati delle nostre città che invece di dichiararli irredimibili ripuliscono una via, fanno doposcuola a bambini poco seguiti, portano una busta della spesa in casa di una famiglia in difficoltà? O a un imprenditore, un professionista che invece di andarsene, potendo, in luoghi più sicuri, preferiscono restare e fare dove è più difficile, meno redditizio e più rischioso e dove la maggior fortuna di alcuni, pur se meritata, genera più sospetto che ammirazione?

La slupatura sociale è dolorosa e ad alto tasso di errore, ma non c'è altro modo di risanare una comunità che per troppo tempo si è sentita (e spesso non a torto) abbandonata dallo Stato, “ceduta” alla parodia dello Stato rappresentata dal boss locale; e che vede ogni giorno la prova della disistima da parte del Paese, nella negazione di opere pubbliche, treni, strade, lavoro, rispetto.

Questo potrà sembrarvi un eccesso di fiducia nella capacità di rinascita, ma è un dato di fatto: è chi ha i problemi in misura e quantità ormai intollerabile che cerca prima di altri le soluzioni. Perché non ha scelta e non può più restare in quelle condizioni. Per questo sarà dalla Calabria che ripartirà il risanamento del Sud e la campagna sociale, politica, per quell'equità negata (lo vediamo nella Sanità commissariata e sfasciata anche dallo Stato, ai soldi del Recovery Fund sottratti al Sud, con scuse indegne, alla decurtazione dei fondi della perequazione orizzontale dovuti ai Comuni meridionali, ma rubati con un trucco attraverso la Commissione parlamentare Federalismo quando era presieduta da Giancarlo Giorgetti e non restituiti nonostante un centinaio di cause da parte dei Comuni...).

Nessuna regione è messa peggio della Calabria, quindi saranno i calabresi a cambiare le cose, per puro spirito di sopravvivenza. Bisogna partire dal legno buono. Bisogna slupare, a rischio personale e con dolore, ma il tempo è adesso; le forze sane ci sono; una ripulitura dal malaffare come mai prima è in corso. Una generazione di giovani così preparata e consapevole non l'abbiamo mai avuta. Si può fare. Ora o potremmo non avere un'altra occasione.

Giornalista
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