Alta velocità Salerno-Reggio: fuorviante chi dice che l’investimento non è giustificato

L’analisi di Marco Ponti (economista) e Francesco Ramella (ingegnere dei trasporti) pubblicata su Domani esprime una visione di parte che colpevolmente non riscontra i benefici in termini di sviluppo del Sud e dell’intero Paese

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di Roberto Di Maria
13 dicembre 2021
15:41

La guerra all’Alta Velocità meridionale è già in atto da tempo. La stampa nazionale, soprattutto quella ispirata dagli ambienti più contrari alle cosiddette “grandi opere” non perde occasione per sollevare dubbi sulla opportunità di estendere a sud la rete ad alta Velocità che da oltre 10 anni collega l’Italia da Salerno in su.
Ultimo di una serie già lunga di attacchi in tal senso, è un articolo apparso su “Domani” del 2 dicembre scorso, a firma di Marco Ponti e Francesco Ramella, rispettivamente economista ed ingegnere dei trasporti.

In questo caso gli argomenti addotti fanno riferimento ad insufficienti benefici a fronte di una spesa di 22-27 miliardi di euro per la quale gli autori già adombrano un incremento del 45% secondo stime provenienti dalle “ferrovie nel mondo”. Essi prendono di mira, in particolare, gli studi effettuati a sostegno di questo progetto di linea ferroviaria AV.


In realtà, partono male, dal momento che leggiamo di una linea Salerno-Reggio Calabria di 500 KM, quando invece essa è lunga 380 km; al massimo sarebbero 445 secondo il progetto RFI, gravato da una scelta di tracciato molto discutibile, sul quale chi scrive si è espresso in altra sede.
Comunque sia, gli autori, prima ancora di esaminarli, avanzano il sospetto che tali studi siano affetti da “conflitto di interessi” a capo di RFI, incaricata di valutare l’investimento che la interessa direttamente. Sarà, ma ciò fa comprendere facilmente, sin dalle prime righe, che Ponti e Ramella hanno affrontato questo esame alla luce di un pregiudizio che interessa, nel complesso, anche il sistema AV: infatti, essi ricordano che lo stesso ha generato uno spostamento traffico strada-ferrovia pari soltanto allo 0.6%.

Un dato parziale, al quale ne andrebbe accompagnato un altro: lo spostamento aereo-ferrovia, molto più consistente. Tanto importante da essere preso in considerazione dagli stessi autori qualche riga più in là. Esattamente quando in una stima dei possibili benefici dell’AV, ipotizzano lo spostamento verso il treno di tutti i viaggiatori che, in aereo, si muovono tra Calabria e Roma e tra Sicilia e Campania (perché non tra Sicilia e Roma?). Metodo suggestivo, ma alquanto singolare.
Un esperto di trasporti, in realtà, non dovrebbe mai ipotizzare un trasferimento integrale da un modo all’altro, per valutare la quantità di viaggiatori attratti da una nuova linea. Infatti, il raggiungimento di un equilibrio tra due vettori sullo stesso itinerario avviene attraverso dinamiche un tantino più complesse e sofisticate. Esso, in genere, si raggiunge mediante una redistribuzione dei flussi, mai con l’azzeramento di uno dei due: per qualche motivo sociologico, infatti, nessun mezzo di trasporto esce completamente di scena all’apparire di uno nuovo, anche se più veloce e conveniente. In parole povere, si dimostra statisticamente che c’è sempre qualcuno che rimane affezionato ad un determinato vettore.

Ma quello che non considerano affatto i due autori è l’incremento in valore assoluto degli spostamenti complessivi: ovvero, una nuova fetta di mercato conquistata dal sistema di mobilità che, nel suo complesso, è diventato più efficiente grazie al nuovo vettore, attraendo utenti che, diversamente, non si sarebbero neanche mossi da casa.

È quello che avviene quando si realizza una nuova linea di trasporto pubblico ad alte prestazioni (metropolitana, ferrovia, tram) all’interno di un’area metropolitana: essa non azzera di certo il trasporto privato, ma lo ridimensiona grazie al maggior gradimento da parte degli utenti. Inoltre, migliorando l’accessibilità complessiva alle aree servite, il nuovo mezzo invoglia i cittadini a raggiungerle, incrementando gli spostamenti complessivi; con essi, aumentano gli scambi commerciali e le opportunità di insediamenti produttivi, a favore di tutti gli indicatori economici.

Succede anche in scala più ampia: non si spiegherebbe altrimenti l’incremento dl PIL di cui usufruiscono le aree servite dalla rete AV italiana, secondo uno studio ormai famoso dell’Università Federico II: la crescita complessiva delle relazioni fra i centri toccati dall’AV, che si legano in un sistema che li avvicina, ne ha favorito le sinergie, generando un maggior dinamismo economico. Se ci fosse stato un semplice trasferimento di viaggiatori ad un altro, gli spostamenti complessivi non sarebbero cresciuti, ed il fenomeno non avrebbe avuto luogo.

Seguendo il discorso di Ponti e Ramella, il mero trasferimento di utenti alla ferrovia non ridurrebbe a sufficienza le emissioni climalteranti, rischiando persino di non ridurle affatto qualora il trasferimento del traffico aereo al treno “fosse inferiore al 62% del totale”. Non spiegano, gli autori, come siano giunti a questa stima, dal momento che abbiamo motivo di credere che il passaggio del contenuto di un solo aereo al treno comporterebbe, comunque, vantaggi in termini di emissioni in ambiente, dal momento che, notoriamente, il primo inquina molto più del secondo.

Probabilmente, i due professori, prendono in considerazione le emissioni in fase di costruzione della nuova linea, cumulandole con quelle emesse in fase di esercizio. Approccio tecnicamente corretto, ma che richiederebbe un’attenzione altrettanto ampia verso tutti i benefici, anziché limitarsi ad uno solo, forse il minore. Invero, tutto l’articolo è pervaso da una banalizzazione imperdonabile per un trasportista: considerare la AV come una linea viaggiatori, dimenticando che questa sigla solitamente si accompagna ad un altro acronimo: A.C. ovvero Alta Capacità; più comodamente AC.

Perché, nel conteggio delle emissioni gli autori non considerano la riduzione causata dal trasferimento delle merci dalla gomma alla rotaia? Eppure, si tratta di un elemento in trascurabile, dal momento che centra un obiettivo richiesto dalla UE per i prossimi anni, pena pesanti sanzioni: il passaggio da gomma a ferro per almeno il 30% delle merci circolanti entro il 2030 (50% entro il 2050).

Evidentemente Ponti e Ramella dimenticano la presenza non soltanto, lungo la linea, del Porto di Gioa Tauro, ma anche, in fondo ad essa, della Sicilia. L’isola, oltre a contare 5 milioni di abitanti, consente la realizzazione di porti di ampiezza sufficiente (Augusta innanzitutto) ad intercettare, almeno in parte, i container diretti dal far East a Rotterdam o Amburgo, riducendo di una settimana e 6000 km il viaggio via mare alle navi gigantesche che li trasportano. Per rimanere nel campo delle emissioni, tanto caro a Ponti e Ramella, quelle di navi mega-portacontainers da 10-15.000 TEU non sono affatto trascurabili.

Al beneficio ambientale, ovviamente, vanno accompagnati i benefici indotti dall’attività di scarico e transito nel Bel Paese, e non solo nel sud, di milioni di TEU ogni anno. Benefici economici ricadono sui territori in cui si sviluppano le aree retro portuali e tutto l’indotto che graviterebbe intorno ad una logistica di livello intercontinentale.
Se i nostri autori, incredibilmente, non hanno considerato gli enormi benefici della trasformazione dell’Italia meridionale in un enorme molo di attracco per le merci trasportate provenienti dal far East via mare, sicuramente lo hanno fatto i cinesi. I quali stanno facendo le umane e divine cose per collegare il Pireo, ormai da anni sotto il loro controllo, al centro dell’Europa, attraverso, ovviamente, una ferrovia Avac. Che non attraversa la florida Padania, bensì luoghi come l’Albania e la Serbia, per poi pervenire in Ungheria.

A pensarci bene, lo ha fatto neanche l’Unione Europea, dal momento che la Salerno-Reggio Calabria ricade nel corridoio TEN-T Helsinki-La Valletta, destinato a collegare la Scandinavia al Mediterraneo attraverso il centro Europa.
Considerazione, quest’ultima, che smaschera l’equivoco di fondo, per il quale sarebbe interessante chiedere lumi agli autori. Se non serve a nulla collegare “centri di dimensioni minori” alla rete ferroviaria fondamentale, allora per quale motivo, per quasi due secoli, si sono realizzate ferrovie verso luoghi desertici? Lo era la Siberia, percorsa dalla linea più famosa del mondo, la transiberiana. Lo era il mitico “Far west” raggiunto dalla ferrovia Central Pacific Railroad nel 1869. Potremmo citare almeno altri 100 esempi similari, con un unico comun denominatore: aver accelerato lo sviluppo economico delle aree servite.
Attraverso sistemi di trasporto tuttora, utilissimi, soprattutto per le merci: si pensi alle decine di treni che ormai settimanalmente raggiungono l’Europa centrale dalla Cina, via ferrovia.

Perché mai, quindi, per la Salerno-Reggio Calabria le cose dovrebbero andare diversamente, al punto che Ponti e Ramella affermano che i loro dati che “non sembrano giustificare in alcun modo questo tipo di investimento”?

Non certo per ragioni oggettive, ma, casomai, per l’assoluta parzialità di tali dati, a causa non soltanto di un pregiudizio di fondo sulle “grandi opere”, ma anche perché non considerano lo sviluppo del quadro socio-economico in cui la nuova infrastruttura si collocherebbe e le virtuose sinergie che essa sarebbe in grado di attivare.
In altre parole, l’analisi di Ponti e Ramella non guarda al futuro, anche se è pubblicata da “Domani”.

di Roberto Di Maria
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