«Calabria terra irrecuperabile». Corrado Augias forse parla a vanvera: venga a viverci

Duri e sprezzanti i giudizi sulla regione dati dal giornalista all'indomani dell'ultima inchiesta del procuratore Nicola Gratteri. Ma è facile parlare da lontano, senza sapere né capire

di Franco Laratta
23 gennaio 2021
08:50
Corrado Augias
Corrado Augias

Nel corso di ‘Quante Storie’ su Rai 3, Corrado Augias ha descritto la Calabria di oggi, partendo dall’ultima indagine di Gratteri, dando giudizi durissimi e sprezzanti: «La Calabria è purtroppo una terra perduta, questa inchiesta e anche il maxi processo in corso, del quale i media non hanno parlato a sufficienza, lo dimostrano. La mia opinione personale vale poco, vale quello che vale, è un sentimento, non un’affermazione politica. Io ho il sentimento che la Calabria sia irrecuperabile. L’ho visto anche in occasione delle ultime elezioni, avevano un candidato ottimo, un impreditore calabrese forte, che resta lì nonostante i rischi che corre, che dà lavoro: lo hanno escluso, hanno eletto un’altra persona che sfortunatamente è mancata. Detto questo, le inchieste di Gratteri vanno seguite con attenzione. Gratteri è calabrese, un altro uomo che è voluto restare in Calabria, fa una vita d’inferno, vive con 4 carabinieri intorno…».

Facile parlare da lontano, comodamente seduti, senza sapere, senza conoscere, senza capire. Facile quanto inutile e banale un commento così duro e sferzante, ma... ignorante, fatto da chi non sa. C’è una Calabria viva, vivace, onesta, perbene, che lavora, produce, cresce. Al di là e al di sopra delle indagini delle giudiziarie. La Calabria è tutta un’altra cosa rispetto a quello che raccontano le cronache quotidiane. 


Ma la migliore risposta a Corrado Augias la possiamo dare facendo ricorso ad un poemetto meraviglioso di Leonida Repaci, che sintetizziamo al massimo: «Quando fu il giorno della Calabria Dio si trovò in pugno 15000 km quadrati di argilla verde con riflessi viola. Era teso in un maschio vigore creativo il Signore, e promise a se stesso di fare un capolavoro. Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi. [...]

Operate tutte queste cose nel presente e nel futuro il Signore fu preso da una dolce sonnolenza, in cui entrava il compiacimento del creatore verso il capolavoro raggiunto. Del breve sonno divino approfittò il diavolo per assegnare alla Calabria le calamità: le dominazioni, il terremoto, la malaria, il punto d’onore, la gelosia, l’Onorata Società, la vendetta, l’omertà, la violenza [...]. 

Quando il Signore, aperti gli occhi, potè abbracciare in tutta la sua vastità la rovina recata alla creatura prediletta, scaraventò con un gesto di collera il Maligno nei profondi abissi del cielo. Poi, lentamente rasserenandosi, disse: - Questi mali e questi bisogni sono ormai scatenati e debbono seguire la loro parabola. Ma essi non impediranno alla Calabria di essere come io l’ho voluta. La sua felicità sarà raggiunta con più sudore, ecco tutto».
Utta a fa juornu c’a notti è fatta -. Una notte che già contiene l’albore del giorno.

di Franco Laratta
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