C’è una valle, in Trentino, dove l’erba cresce fitta tra i sentieri battuti dagli sciatori. In Val di Fassa il sole taglia ancora a pezzi l’ultima neve, mentre nei grandi alberghi si lucidano i tavoli, si contano i bicchieri, si cercano mani e schiene pronte a reggere piatti, bottiglie, turni massacranti.

Eppure, per qualcuno, non basta saper servire. Bisogna anche servire in silenzio, col pensiero giusto, la testa chinata alla linea del padrone.

Paolo Cappuccio, chef stellato, ha deciso di ricordarcelo con la grazia di un manganello. Il suo annuncio – breve, feroce – rimbalza come uno schiaffo tra bacheche social e indignazione d’occasione: «No comunisti, no problemi di orientamento sessuale, no fancazzisti». Scritto così, senza tovaglia di lino a coprirne la volgarità.

Non è la prima volta. A Caorle, nel 2020, la stessa bava alla bocca, la stessa voglia di setacciare curriculum come si setaccia il sangue di chi non appartiene.

Io mi chiedo – e chiedo a voi – se davvero basti una stella Michelin a giustificare il privilegio di sputare sentenze sulla pelle altrui. Se un uomo, solo perché sa emulsionare burro e foie gras, può ergersi a giudice di coscienze e desideri.

La ristorazione italiana – quella seria, quella onesta, quella che spreme vite intere tra cucine di metallo e camere fredde – si regge sul sudore di chi non domanda tessere di partito, né s’interessa di chi ami chi, dopo il doppio turno.

Sono loro i camerieri dei Cappuccio: invisibili, sfruttati, precari, troppo stanchi per indignarsi, troppo lucidi per illudersi che un post cancellato basti a cambiare le regole di un gioco truccato.

Perché non è Cappuccio, da solo, il problema. È un sistema intero che applaude gli chef-star come fossero stregoni moderni, liberi di umiliare apprendisti e lavapiatti in nome di una cucina d’élite che scorda la fatica. È un’Italia ancora convinta che chi serve debba ringraziare, obbedire, sparire dietro le porte basculanti di una sala.

E allora, forse, la vera domanda non è perché uno chef pretenda sudditi obbedienti. Ma perché noi, ogni volta, gli lasciamo credere di poterlo fare.

In questa valle – e in ogni valle di questo Paese – esistono ancora camerieri con la schiena dritta. E clienti con gli occhi aperti. Gente che sa che professionalità e una forchetta pulita vale più di una stella. Che il diritto a un lavoro non è un regalo concesso da un re, ma un patto tra esseri umani.

La neve, prima o poi, si scioglie. Anche le stelle, se nessuno alza più lo sguardo, smettono di brillare.

E restano solo i tavoli vuoti, le sedie in fila, e un silenzio che non ha bisogno di proclami su Facebook per dire chi ha davvero perso la dignità.