Che valore ha un lavoro che uccide l’anima? Che orrore è spendere la propria vita inseguendo stipendi invece che seguire la via del proprio cuore?
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La giovinezza è chiamata precocemente a una scelta complessa: quella di piegare il proprio slancio formativo al freddo sistema del profitto, di sottomettere la propria ispirazione interiore ad una società che misura il valore delle persone in funzione del suo rendimento economico. Eppure, vi è una verità più alta, dimenticata, che attende di rinascere: la passione autentica, quella che allontana la corruzione e il compromesso. Ogni formazione o lavoro senza passione è destinata a diventare sterile, vuota, mera funzione priva di spirito. Platone ci ricorda che la vera formazione, deve essere un’ascesi dell’anima verso il bene, un percorso interiore, un eros conoscitivo che arde per l’Idea.
In questa visione, l’apprendimento è desiderio, è inquietudine creativa, è fame di senso. Lungi dal ridursi a una preparazione per il “mercato del lavoro”, l’educazione era - e può ancora essere - un atto d’amore verso il mondo e verso se stessi, una nobilitazione dell’essere. Lo studente che studia per passione, senza espedienti o convenienza, è il solo che realmente apprende.
Nel Novecento, Pier Paolo Pasolini - profeta tragico della modernità - ha denunciato con lucidità la degradazione spirituale prodotta dall’omologazione consumista. In una delle sue pagine più potenti, egli parlò della “mutazione antropologica” che ha svuotato l’individuo della propria autenticità, riducendolo a “consumatore”, anche nei desideri e nelle scelte formative.
Pasolini si scagliava contro la falsa libertà del capitalismo, che illude i giovani di scegliere, mentre in realtà li conduce - attraverso i miti del successo e della sicurezza economica - a tradire se stessi.
Ma che valore ha un lavoro che uccide l’anima? Che orrore è spendere la propria vita inseguendo stipendi (inoltre, irrisori e inadeguati) invece che seguire la via del proprio cuore?
Il giovane che decide di studiare filosofia, musica, letteratura o biologia per puro amore della conoscenza sfida un intero sistema che cerca di dissuaderlo. Ma è proprio quel gesto - ostinato, libero - che può ancora salvare il mondo dal cinismo.
Kierkegaard scriveva: «Che cos’è l’essere umano senza passione?». Senza passione, l’io si dissolve nella noia, nella mediocrità, nella depressione esistenziale. Chi lavora senza amore muore ogni giorno, poco per volta.
Le civiltà più grandi della storia sono nate (oltre che dalla paura della fame) dall’ebbrezza del creare, dal culto del bello, dal desiderio di verità.
V’è una strana ossessione per l’“utilità” che ha invaso persino le aule scolastiche e universitarie. Ma è proprio l’inutile, il gratuito, il fine a se stesso, a rendere l’umano davvero umano. L’arte, la poesia, la filosofia sono forse “futili” in senso economico: eppure sono ciò che dà senso a ogni altra cosa.
Oscar Wilde scrisse che «il cinico è colui che conosce il prezzo di tutto e il valore di niente».
Chi segue la “passione” potrà conoscere la povertà, certo, ma anche una ricchezza interiore che nessuna borsa, nessun assegno, nessun posto fisso potrà mai donare.
Un giovane che decide di fare il poeta, il naturalista, il restauratore di manoscritti, il paleontologo, il regista teatrale - benché il mondo gli sussurri “ti troverai senza lavoro o a fare la fame” - è un giovane che sta affermando la propria libertà profonda, e la sua fede nel fatto che l’essere ha più valore dell’avere.
Il vero maestro è colui che insegna ad accendere il fuoco, a custodire quella scintilla originaria che ogni giovane porta nel cuore. Se ciascuno avesse il coraggio di abbracciare con sincerità ciò che realmente ama, il mondo sarebbe meno ricco di denaro, ma interminabilmente più ricco di splendore, giustizia e verità.
Perché una vita senza passione è un salario senza anima. E di anime svuotate, questo mondo, infelicemente, ne ha già troppe.