Le intercettazioni, la Cassazione, la legge Bonafede e la vita degli altri

La recente sentenza delle Sezioni Unite, nota come sentenza Cavallo, sembra porre un argine all’uso indiscriminato delle intercettazioni ma l'interpretazione di quest'ultima rischia però di esser vanificata dalla travagliata controriforma che ha in mente il ministro della Giustizia

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di Antonia Postorivo
14 luglio 2020
15:04

"Le vite degli altri", straordinario film del regista tedesco premio Oscar e David di Donatello Florian Maria Georg Christian Graf Henckel von Donnersmarck, è ambientato a Berlino Est, 1984, e descrive le vicende del capitano Gerd Wiesler, abile e inflessibile agente della Stasi, la polizia di stato che spia e controlla la vita dei cittadini della DDR. Ecco il decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.

In Italia abbiamo questa malsana mania di spiare la vita degli altri, e allora controlliamo il contante che usiamo, ci inventiamo norme che evitino l’uso del contante e soprattutto adoriamo ascoltare le conversazioni telefoniche di tutti.

La Legge Bonafede che disciplina l’uso delle intercettazioni consegna, di fatto, “pieni poteri” ai Pubblici Ministeri dando loro pieno controllo sulle intercettazioni, lasciando alla Polizia Giudiziaria il solo asettico ascolto delle intercettazioni.

La Polizia Giudiziaria, a parere di chi scrive, dovrebbe avere il compito di fare le indagini, fare indagini incisive, dedicarsi alla ricerca della prova, usando i mezzi di ricerca della prova che il nostro ordinamento prevede. Una Polizia Giudiziaria operativa è una garanzia per i probabili indagati e per tutti i cittadini. La ricerca della prova dovrebbe essere delegata a chi è addetto alla ricerca dei crimini. Il Pm dovrebbe entrare in campo quando ha una notitia criminis e non stare in campo coprendo tutte le fasce, in difesa, in attacco, in centro campo ed in porta. I ruoli, soprattutto nella delicata fase della ricerca di un reato, dovrebbero essere chiari i e definiti e mai sovrapporsi per salvaguardare tutte le garanzie presenti in un paese democratico.

Da molto tempo svariati avvocati, la dottrina più illuminata, ma anche la magistratura più garantista, denunciano una serie di distorsioni legate all’uso indiscriminato delle intercettazioni spesso usate come una scorciatoia probatoria per giungere ad un risultato di provvisoria colpevolezza purtroppo spesso amplificata da alcuni media.


Completano spesso questo quadro desolante la mancanza di qualsiasi riscontro, a volte, su quanto emerge dalle intercettazioni.
I tempi delle indagini si allungano sempre di più, il ricorso indiscriminato alle intercettazioni come unica fonte di prova determina altresì un innalzamento dei costi della giustizia, come risulta dai bilancio delle procure più importanti, che indicano proprio nei costi per le intercettazioni la maggiore fonte di spesa.

Il legislatore aveva concepito il processo penale come un processo che si svolge nei confronti di singole persone e per fatti determinati; eppure il legislatore aveva raccomandato particolare attenzione nell’uso delle intercettazioni proprio per il loro carattere decisamente invasivo del diritto alla riservatezza e alla libertà delle comunicazioni, costituzionalmente protetti; e proprio perché ove necessario, le intercettazioni possono esser compiute anche nei confronti di persona non indagata né imputata, e solo qualora ciò sia indispensabile al fine trovare la prova di colpevolezza.

Tocca alla Cassazione risistemare le cose e ricordarci che viviamo nel paese considerato da tutti “la culla del diritto”.

La recentissima sentenza delle Sezioni Unite, nota come sentenza Cavallo, sembra porre un argine all’uso indiscriminato delle intercettazioni in processi diversi e per reati diversi da quello nel cui ambito furono autorizzate, e ciò in quanto l’autorizzazione del giudice non si limita a legittimare il ricorso al mezzo di ricerca della prova, ma circoscrive anche l’utilizzazione dei suoi risultati ai fatti-reato che all’autorizzazione stessa risultino riconducibili: è questo l’insegnamento della Corte Costituzionale che fin dal 1991, con la sentenza numero 336, aveva avvertito che l’intercettazione deve dar conto dei soggetti da sottoporre a controllo e dei fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede.

Questa interpretazione assolutamente condivisibile della Corte rischia però di esser vanificata dalla travagliata controriforma delle intercettazioni che ha in mente il Ministro della Giustizia, le cui difficoltà interpretative sono chiare e sono dimostrate dai numerosissimi rinvii della sua entrata in vigore, l’ultimo disposto col decreto legge 28 del 30 aprile 2020 che ha spostato al primo settembre l’entrata in funzione della nuova legge.

E allora non ci resta che sperare che ad ascoltare tutte le nostre conversazioni ci sia il capitano Gerd Wieslerl che in fondo e alla fine è riuscito intelligentemente a comprendere la differenza tra conversazioni personali e prive di valore penale da quelle invece che meritano un approfondimento di indagine.


di Antonia Postorivo
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