2025: una data da ricordare per gli studi su Gioacchino da Fiore. Si è infatti appena completata, presso l’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo (Roma), in coedizione con i Monumenta Germaniae Historica (Monaco di Baviera), la pubblicazione dell’edizione critica del testo latino della terza e ultima delle sue grandi opere, grazie al decisivo sostegno del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti (San Giovanni in Fiore). Il Psalterium decem cordarum uscì nel 2009; la Concordia Novi ac Veteris Testamenti nel 2017, ora infine l’Expositio Apocalypsis. Il termine “grandi opere” è assolutamente appropriato, innanzi tutto ad indicare la mole di questi scritti. L’edizione critica della Concordia ha richiesto quattro tomi. Quanto all’Expositio Apocalypsis (uscita ora in due tomi), è stata preceduta da un volume comprendente tutti gli scritti minori di Gioacchino riguardanti l’Apocalisse.

Merito principalmente di Alexander Patschovsky, professore emerito di Storia medievale nell’Università di Costanza, artefice di tutte e tre le edizioni. Va peraltro ricordato che per Psalterium ed Expositio ha affiancato il più anziano Kurt-Victor Selge (Berlino) fino alla sua recente scomparsa, modificando, integrando e completando d’intesa con lui il lavoro editoriale avviato da Selge sulle due opere per oltre quarant’anni. Nel frattempo procede il piano di traduzioni in italiano degli scritti di Gioacchino, avviato trent’anni fa presso le edizioni Viella. Per quanto riguarda le grandi opere, sono finora uscite la traduzione italiana del Salterio e del primo dei due tomi previsti per la Concordia. La pubblicazione del secondo avverrà entro la fine di quest’anno.

Gioacchino si sarebbe certo riconosciuto nella celebre espressione di Ernst Käsemann, grande teologo tedesco del ‘900, secondo cui “l’apocalittica è la madre di ogni teologia”. Lontano dall’interesse per testi profetici di dubbia origine, ampiamente circolanti allora come oggi, l’abate florense cerca e trova nell’Apocalisse di Giovanni la chiave per ciò che da teologo gli interessa: comprendere il significato e la direzione della storia. La disponibilità del testo critico offre, fin dal titolo (nel rispetto della tradizione manoscritta, Patschovsky ha stabilito che va chiamata Expositio Apocalypsis l’opera che eravamo abituati a indicare finora come Expositio in Apocalypsim) tanti elementi di conoscenza nuovi, anche grazie al ricco apparato di note di commento fornito dall’editore. Cade così definitivamente l’affresco suggestivo ma ingannevole di Ernesto Buonaiuti, che portando insieme a Herbert Grundmann Gioacchino alla ribalta degli studi, lo presentò come “il solitario veggente della Sila”. Dalla lettura delle grandi opere, Gioacchino ci appare come al centro di una rete di conoscenze, di interessi, di relazioni altolocate: conoscitore profondo della tradizione teologica ed esegetica, politico chiaroveggente, intellettuale critico e schietto polemista al servizio della Chiesa romana.

Ma le “grandi opere” sono grandi soprattutto per il loro messaggio innovativo, interamente sospeso all’annuncio di una nuova manifestazione dello Spirito nella storia, di una nuova Pentecoste. Nell’Expositio Apocalypsis l’abate florense interpreta per primo la successione delle visioni come altrettanti squarci sul succedersi dei tempi e dei protagonisti della storia della salvezza, sino ai tempi finali attesi come imminenti. Questa lettura storicizzante del testo presenta numerose implicazioni importanti. Per limitarci alla più celebre, lo autorizza a intendere il ventesimo capitolo dell’Apocalisse in parziale divergenza da tutta la tradizione interpretativa precedente, saldamente incanalata entro un alveo ristretto tracciato da Agostino, secondo cui i mille anni dell’incatenamento di Satana (Apocalisse 20) coincidono con il tempo della Chiesa. Gioacchino condivide solo in parte la censura agostiniana nei confronti del millennio finale. Rinuncia volentieri all’idea dei mille anni tondi, ma tiene ferma la fiducia in una fase finale pienamente storica di pace e di libertà, tempo breve, incuneato tra le ultime tribolazioni e il giudizio universale, che scorge appunto preannunciato in Apocalisse 20. Sarà «il gran sabato che ci piacque chiamare terzo stato», la settima età terrena, lo stato dello Spirito prefigurato nel settimo giorno della Creazione.

Messaggio ambivalente quello di Gioacchino: da un lato chiama alla vigilanza nei confronti dell’Anticristo, che già si prepara a imperversare crudelmente; dall’altro, tiene accesa la fiducia in un futuro migliore. Due annunci concatenati fra loro, grazie a cui ha avuto una funzione illuminante per la cultura occidentale nei secoli successivi. Vale la pena ricordarli entrambi, in questa fase così oscura e minacciosa per l’Europa e il Mediterraneo, in cui ci si volge intorno alla ricerca di una qualche luce, di qualche segno di speranza in un futuro migliore.

*Direttore del Comitato scientifico del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti e professore emerito di Storia del cristianesimo alla Cattolica di Milano