La piattaforma non libera, incatena. Illude con guadagni e autonomia, ma genera dipendenza, solitudine e giudizio sociale. Un algoritmo che mercifica identità e intimità
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© Sheldon Cooper / SOPA Images / ipa-agency.net
Piccola, doverosa e breve premessa: l’articolo che segue non vuole esprimere nessun giudizio di natura morale. L’articolo vuole solamente smontare una delle costruzioni più ingannevoli della mitologia neoliberista: il guadagno facile attraverso le piattaforme di materiale erotico fai-da-te.
Mentre Instagram è servito come palestra, per allenare le nuove generazioni alla normalizzazione della propria esposizione costante ed alla diffusione di una idea nuova di accettazione delle diseguaglianze sociali, basate su estetica e denaro, OnlyFans rappresenta la fase terminale di questo processo: il corpo non viene più solo mostrato, ma deve essere monetizzato a tutti i costi. La sessualità, anziché liberarsi, come illusoriamente viene fatto credere, viene incapsulata in un modello di business che trasforma l’intimità in prodotto, l’identità in merce, il desiderio dell’altro in algoritmo per generare consent. A sostenere questo sistema culturale, non è solo l’industria tecnologica, ma è anche una parte consistente della cultura mainstream, soprattutto quella che ama definirsi progressista.
Sono anni che quotidiani come Repubblica e Il Fatto Quotidiano, tra i più attivi e schierati nel promuovere la piattaforma, pubblicano articoli dal tono entusiasta, che sono spesso pagati su commissione proprio dai gestori di OnlyFans, per legittimaresocialmente un fenomeno che si nutre di fragilità e illusioni. Qualcuno dovrebbe avere il coraggio di dire che quegli articoli su fantomatiche modelle milionarie, sulla facilità dei guadagni, su maestre che in privato fanno le cam girl per 10.000 euro al mese sono dei fake. Sono articoli su commissione, la maggior parte di quei profili è gestito da aziende specializzate. Agire così è un altro modo per veicolare la retorica neoliberista del “fare soldi facilmente”, in questo caso travestita addirittura, in alcuni casi da femminismo, ma che è sostanzialmente priva di qualsiasi visione critica sul potere, il mercato, e la manipolazione del desiderio.
Inoltre queste nuove forme di prostituzione online ibride, guai a chiamarle così, sono inattaccabili e hanno alleati ovunque. È proprio qui che entra in scena anche il femminismo woke, che ha trasformato l’autodeterminazione in brand, il corpo in slogan, l’emancipazione della donna in modello di consumo e ha ridicolizzato l’identità sessuale, trattandola come una merce da vendere online. Il progressismo woke è riuscito, anche su questo tema come su moli altri temi legati all’inclusione, ad andare oltre qualsiasi pensiero autoritario della ultra destra neoliberista.
Secondo questa narrazione, infatti, il mercato ed il denaro giustificano tutto, tanto che vendere contenuti sessuali sarebbe addirittura un gesto di libertà. Ma è davvero così? O siamo di fronte a un raffinato processo di autocolonizzazione, in cui l’individuo, convinto di scegliere, sta semplicemente rispondendo alle logiche di una piattaforma che lo guida, lo misura e lo consuma? I numeri parlano chiaro. Nel 2024, il guadagno medio su OnlyFans è stato di circa 108 dollari al mese: meno di quattro dollari al giorno per utente. Uno studio della BBC ha dimostrato, inoltre, come solo l’1% degli utenti incassa oltre il 33% delle entrate totali, mentre la massa si espone per niente, riproponendo e normalizzando gli stessi principi estremi di diseguaglianza che il neoliberismo veicola da almeno 20 anni. OnlyFans è come le truffe dei mandala su Whatsapp, o come qualsiasi truffa di Piazzi,è un’economia piramidale, travestita da rivoluzione, in cui in pochi guadagnano con il lavoro degli altri. L’utopia del “lavora da casa con il tuo corpo” si infrange contro la realtà di un mercato saturo, feroce, competitivo fino all’umiliazione, soprattutto delle tante ragazze che credevano di diventare ricche. Ma la ferita più profonda non è economica. È esistenziale. Ridurre se stessi a contenuto, a click, a numero, disintegra lentamente il senso del valore personale.
L’apparente liberazione sessuale diventa una nuova forma di schiavitù algoritmica, senza padroni visibili, ma con milioni di utenti che si auto-regolano secondo le esigenze dell’engagement. La piattaforma non punisce: ti silenzia. Ti dimentica. E per non essere dimenticati, si è disposti a fare sempre di più, a mostrarsi sempre di più, a perdere sempre di più. Nel frattempo, i contenuti “privati” escono dalla piattaforma, circolano sui siti pornografici, finiscono nei gruppi Telegram e nelle mani di chi non paga, ma, dopo averne usufruito è il primo che giudica.
L’umiliazione pubblica si accompagna alla dipendenza privata. E il giudizio sociale è doppio: chi produce contenuti viene condannato moralmente dagli stessi che ne fruiscono in segreto.
Nel 2024, OnlyFans ha fatturato oltre 1,3 miliardi di dollari, mentre i “creator” hanno ricevuto in media poco più di 1.300 dollari l’anno. Una disparità abissale che smentisce ogni pretesa di giustizia o redistribuzione. Nessuno si arricchisce con due foto dei piedi. Nessuno costruisce un futuro solido esponendo la propria nudità in un mercato che ti dimentica il giorno dopo, se non soddisfi i suoi meccanismi di profilazione.
Contrariamente a quanto racconta Repubblica.it, o qualche intellettuale superficiale, OnlyFans non è uno strumento di emancipazione. È una macchina perfetta per assorbire la solitudine, il desiderio di riconoscimento, e approfittare della fragilità economica e psicologica di milioni di persone. E, la cosa più devastante, è rappresentata dal fatto che a difenderla sono proprio coloro che, sotto la bandiera dell’inclusività e dell’autonomia, hanno scambiato il marketing della umiliazione femminile per militanza politica. Giù la maschera. Questa non è libertà. È solo l’ennesimo inganno venduto col volto del progressismo che di progressista non ha mai avuto nulla.