Parlamento cucito su misura dei partiti: la legge elettorale impedisce agli italiani di scegliere davvero

Nonostante il taglio del numero dei parlamentari, la selezione della classe dirigente segue sempre le stesse logiche: amici, servi sciocchi, gente di apparato, ras locali. Il Rosatellum è fatto per questo. Salvo rarissime eccezioni, non ci sono volti noti né esponenti della società civile

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di Giuseppe Alonge
5 settembre 2022
15:00
L’aula di Montecitorio
L’aula di Montecitorio

Nel pieno, anzi nel vuoto di questa inedita, brutta e scarsa campagna elettorale in gran parte digitale, è possibile qualche ulteriore riflessione.

A riduzione del numero dei parlamentari (in conseguenza dell’esito referendario del settembre 2020 sul taglio dei parlamentari) non è seguita una migliore selezione della classe dirigente che resta il problema dei problemi dei partiti politici, i quali continuano a non selezionare per merito.


Insomma, un po' ovunque, con picchi maggiori al Centro-Sud, ancora non ci siamo nei metodi di selezione della classe dirigente. Il sistema selettivo è sempre lo stesso: amici, fedelissimi, sciocchi servi, gente di apparato, ras locali (e loro figli, figliastri e figliocci o anche mogli e/o fidanzate) con consensi clientelari. Il merito ancora una volta messo da parte.

Ci troveremo davanti ad un parlamento di nominati (per la quasi totalità ed in conseguenza dell’attuale legge elettorale che non consente la scelta dei candidati se non parzialmente ed esclusivamente nella parte maggioritaria uninominale che assegna soltanto il 37 per cento dei seggi totali parlamentari) cucito sartorialmente su misura dalle segreterie dei partiti (aspetto che col taglio dei parlamentari sarà ancora più evidente), a causa - lo ribadisco - di questa legge elettorale (il cosiddetto Rosatellum che tecnicamente funziona ma che ci priva non solo della possibilità di scelta dei candidati da mandare in Parlamento ma altresì del principio della territorialità - per via delle candidature calate in regioni diverse da quelle in cui si vive o si è nati - e quindi dell’appartenenza, comprimendo ulteriormente il principio della rappresentanza).

Andiamo però per ordine, da Nord a Sud, facendo qualche nome a mo’ di esempio. Per quanto riguarda le candidature eccellenti della/dalla vera società civile che esprimono novità e qualità in senso assoluto, ne ho individuate 4 su tutti: Ilaria Cucchi e Aboubakar Soumahoro per sinistra italiana e due ex magistrati antimafia (in pensione e non in aspettativa. Aspetto non da poco e che va sottolineato) e cioè Federico Cafiero de Raho e Roberto Scarpinato per i 5 stelle. Stop, quasi tutto il resto è luccichio privo di valore sostanziale.

Assistiamo a qualche ritorno horror, qualche scelta di miseria umana, più di qualche impresentabile ricandidato blindato e, molti altri buttati nella mischia soprattutto nei collegi uninominali dove c’è da prender voti. Di giovani di valore se ne contano pochi che non superano le dita di una mano, in ogni schieramento. Di quelli bruciati (e costretti ad invecchiare anzitempo per trovar un po’ di spazio) per far bella figura, ce ne sono ma, vano sarà il loro sacrificio. Abbiamo molte figurine e figuranti. Soliti politici ne troviamo a bizzeffe ma molti (grazie al taglio dei parlamentari) si affanneranno inutilmente, resteranno a casa. Troviamo anche qualche inarrivabile recordman di legislature seduti in poltrona che ormai neanche un Marcell Jacobs in piena forma riuscirebbe a staccare.

Di buoni politici ce ne sono, beninteso ma, in questa delicata fase storica, serviva da parte di tutti, un atto di coraggio e generosità che andasse esclusivamente verso scelte di eccellente qualità in totale discontinuità.

Come di consueto, anche in Calabria si è dato poco spazio al rinnovamento sostanziale e sono prevalsi, un po' ovunque (fuorché nei 5 stelle), i soliti meccanismi spartitori e di bilanciamento tra le correnti romane, di fedeltà e/o servilismo, di familismo, non schiodandosi di un nulla dalle dinamiche clientelari del consenso. Insomma, il solito desolante e annichilente squallore con alcuni picchi di degrado etico, morale ed anche umano.

E poi, i capilista bloccati famosi (i vip della politica) venuti a mortificare la gente di Calabria. Uno dei danni peggiori di questa pessima legge elettorale (il Rosatellum) lo si vedrà proprio in Calabria con i capilista forestieri venuti a trainare le loro seconde linee per farli approdare in Parlamento, con tanto di presa in giro per i già umiliati calabresi. Addirittura, con l’aggravante che qualora per loro dovesse scattare proprio il seggio calabrese (essendosi candidati in più collegi di più regioni, non ci è dato sapere anzitempo quale seggio scatterà per loro e quali dovranno inevitabilmente lasciare a chi li segue in ordine numerico nei listini bloccati, visto che pur avendo il dono della moltiplicazione delle candidature, non hanno altresì il dono della occupazione di più seggi contemporaneamente. Varrà la regola prevista da questa legge elettorale e cioè: nel caso di elezioni in più collegi proporzionali, si è considerati eletti dove la lista è andata peggio in percentuale), sottrarrebbero spazio alla già ridimensionata (per via della riforma sul taglio dei parlamentari) rappresentanza calabrese, contribuendo notevolmente e negativamente alla compressione della qualità della rappresentanza, non essendo loro esponenti politici calabresi.

Dopo aver provato ad elencare gli aspetti salienti delle candidature elettorali scelte per la Calabria, mi preme tuttavia rilevare che, del tutto inaspettatamente, è proprio in Calabria che assistiamo all’unica scelta inedita: i due ex magistrati antimafia (ribadisco in pensione e non in aspettativa) di livello eccellente ampiamente riconosciuto: Federico Cafiero De Raho e Roberto Scarpinato. Appare questa una mossa politicamente forte che misurerà (sociologi state attenti…) anche il grado di interesse dei calabresi verso il tema legalità. Un bel test elettorale insomma.

In conclusione, per ciò che riguarda i collegi uninominali (lì dove vale il sistema maggioritario e, rispetto a ciascun candidato di coalizione o meno che sia, vince chi prende un solo voto in più dell’avversario) partiamo da una considerazione teorica: tutti i collegi uninominali maggioritari sono contendibile, lo sono per definizione giacché si vince per un solo voto in più appunto.

Tuttavia, appare evidente e non devono essere solo i sondaggi a dircelo, che se un determinato candidato di un collegio è espressione di un patto coalizionale (ricordo che la coalizione deve essere unica a livello nazionale ed a più liste corrisponde un unico candidato nel collegio uninominale) tra più forze politiche (come ad es. avviene per la coalizione di centro destra), ha maggiori possibilità di prevalere in quel determinato collegio rispetto al candidato espressione di una sola forza politica (ricordo che per chi ha deciso di correre da solo, ad una lista corrisponde 1 candidato uninominale, ragione per la quale sarebbe stato necessario presentarsi insieme in un'alleanza elettorale, non necessariamente politica, per competere nei collegi maggioritari contro la destra, per coloro i quali hanno deciso di correre da soli, vedi PD e 5 stelle ad esempio).

Ma qui ad incidere solo altresì molteplici fattori tra i quali la riconoscibilità del candidato sul territorio dove viene candidato; i tempi (in questo caso ristretti) per farsi conoscere e girare bene il territorio (in questo caso vi è un altro svantaggio oggettivo e cioè la maggiore grandezza dei collegi quindi dei territori per via del taglio dei parlamentari che ha fatto sì che venissero ridisegnati i collegi di ciascuna Regione); dei grandi elettori di cui dispone ciascun candidato; dei denari che mette a disposizione per organizzare al meglio la propria campagna elettorale (al di là che il grosso lo si fa ormai sui canali social dove il costo non è elevato, l’impatto partecipativo è migliore ma non sempre, i like sui social si trasformano in voti nella cabina elettorale). E comunque, non dimentichiamo che l’elettore nell’esprimere il suo voto, protende a barrare il simbolo di partito (che conta di più in genere tra le scelte degli elettori) da rendere quasi ininfluente l’uninominale e facendo sì che ad esser determinante sia la somma delle singole liste di peso che “trainerebbero automaticamente” il candidato uninominale collegato a quelle liste.

Chiudo con una preoccupazione non di poco conto: temo che ancora una volta, in Calabria più che altrove, a prevalere possa esser il partito dell’astensione che lascerebbe solo sconfitti e nessun vincitore.

di Giuseppe Alonge
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