Terzo polo, le vere ragioni: Calenda non aveva le firme, Renzi non aveva speranze

L’intesa elettorale tra Azione e Italia Viva risponde a precisi obiettivi strategici. Insieme superano i rispettivi ostacoli (candidatura e soglia di sbarramento). Un altro capolavoro dell’ex premier

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di Giuseppe Alonge
11 agosto 2022
19:04
Matteo Renzi e Carlo Calenda
Matteo Renzi e Carlo Calenda

Il cosiddetto terzo polo, sarebbe stato un progetto politico credibile e utile al Paese se fosse nato prima, se fosse stato costruito per tempo e non soltanto perché costretti a fondersi (per colpa di questa farraginosa, ingannevole e pessima legge elettorale) pur di salvarsi. Ed è proprio studiando l’attuale legge elettorale (cosiddetta rosatellum) che si capiscono le motivazioni di alleanze politiche spesso innaturali e non progettualmente volute e ben costruite. Restiamo al terzo polo e proviamo brevemente a fare chiarezza dal punto di vista tecnico e di riflesso anche strettamente politico.

Questo raffazzonato ed obbligato terzo polo, è nato per due motivi essenzialmente:


1) Perché Calenda non sarebbe stato in grado di raccogliere le firme necessarie per potersi presentare da solo (visti i tempi ristrettissimi dovuti al fatto che, come ben sappiamo, solo pochi giorni fa Calenda aveva stretto un patto politico col PD di Letta in “fusione” però con più Europa di Bonino, il partito che evitava a Calenda e al suo giovane partito, la raccolta di eventuali firme per presentarsi al voto. Tuttavia, dopo una manciata di ore, come ben ricordiamo, con una piroetta degna dei migliori atleti olimpici, il Calenda bizzoso, si sfilava abilmente da quella pseudo coalizione, lasciando solo scatti fotografici per la gioia di chi ama rilanciarli con tanto di ilarità, sui social).

2) Perchè Renzi non avrebbe avuto chance alcuna di esser rieletto senatore della repubblica visto che il suo partito polvere non avrebbe - con altissima probabilità - raggiunto la cosiddetta soglia di sbarramento nazionale (equivalente a circa un milione di voti) del 3%.

Insomma, i due sono stati costretti a mettersi assieme. E lo hanno fatto in modo strategicamente utile per entrambi e cioè presentando una sola lista in comune e non due liste distinte, altrimenti la fusione non sarebbe valsa granché visto che in coalizione (cioè con due liste distinte per ciascun partito) avrebbero dovuto prendere il 10% (soglia di sbarramento per le coalizioni) per entrare in Parlamento e non più il 3% come invece dovranno prendere presentendosi con una sola lista. Naturalmente il 3% (soglia di sbarramento nazionale per ciascuna lista, assieme ma con una sola lista), stante anche a tutti i sondaggi, lo supereranno abbondantemente e i seggi in parlamento scatteranno (il numero naturalmente dipendere dai collegi uninominali - dove vige il maggioritario - che vinceranno e dalla percentuale della parte proporzionale che piglieranno ma, appare piuttosto evidente che i due leader vogliano salvare e quindi far rieleggere almeno i fedelissimi).

Sul simbolo scelto, dove compare in evidenza il nome di Calenda, Renzi ha voluto abilmente dare visibilità “all’alleato” e farlo sentire protagonista, contenendo la sua emotività e non solo il suo ego (quello di Calenda intendo) e, al contempo accrescendo il suo entusiasmo da riversare nella campagna elettorale, pensando ad un effetto traino visto che Calenda sembra possa condurre una campagna elettorale d’attacco ed anche col vento in poppa. Va detto che naturalmente l’abilità politica di Matteo Renzi resta eccellente. Non aveva più alcuna chance, era praticamente politicamente spacciato ma, ha saputo aspettare al varco che il “dilettante” pur esuberante Calenda, si schiantasse sul pd e corresse da Renzi per un abbraccio inevitabile e salvifico (per entrambi), accettando anche (per la piena consapevolezza di essere ormai detestato da 9 elettori su 10) di fare l’assist man (per la serie, meno compaio, meglio è per tutti) e quindi giocare non più per sé ma per la “squadra”. Insomma, si tratta, lo ribadisco, dell’ennesimo capolavoro di strategia politica (seppur di piccole proporzioni questa volta) di Matteo Renzi che ormai, non avendo nulla da perdere, spariglia e scompiglia (anche i piani del solito immobile PD) le carte come meglio ritiene, sperando sempre e comunque di poter rilanciare come piace fare a lui, pur da posizioni minoritarie. E l’ennesima mossa del cavallo è servita.

di Giuseppe Alonge
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