La Calabria ha visto susseguirsi 17 presidenti regionali dal 1970, ognuno asceso al potere cavalcando i cambiamenti di un’epoca, adattandosi a un elettorato frammentato e a un territorio segnato da sfide epocali come la disoccupazione, l’emigrazione, la sanità al collasso e la lunga ombra della ‘ndrangheta e della criminalità organizzata.

La comunicazione politica, elemento centrale delle campagne elettorali, si è trasformata radicalmente in questi decenni, passando dalle piazze infuocate dei comizi al frenetico mondo dei social media, dai volantini distribuiti porta a porta agli algoritmi di micro-targeting.

Ogni presidente ha lasciato il suo segno, non solo con promesse e programmi, ma con il modo in cui ha saputo parlare al cuore e alla mente dei calabresi.

Ripercorriamo, con passione e rigore, l’evoluzione delle strategie comunicative che hanno portato questi leader al vertice, consultando dati storici e analisi delle dinamiche che hanno plasmato la politica regionale.

Negli anni ‘70, quando la Regione Calabria muove i suoi primi passi, la politica è un affare di mani strette e sguardi diretti. I comizi sui palchi e nelle piazze, sono il fulcro della comunicazione. Paesi sperduti, dalla Sila al Reggino, si animano di voci che promettono progresso in una terra ancora legata all’agricoltura.

Tra il 1970 e il 1974, Antonio Guarasci, primo presidente regionale, rappresenta lo spirito democristiano di ferro, tiene discorsi appassionati a Cosenza, parlando di riforme agrarie e unità contro il centralismo romano. I suoi comizi, spesso in teatri o davanti alle chiese, sono eventi di comunità, dove la folla si raduna per ascoltare e discutere. Il porta a porta, con volantini ciclostilati, è altrettanto importante, in una regione montuosa e geograficamente complicata, dove i media nazionali arrivano a stento, il contatto personale con contadini e operai è la chiave per costruire fiducia.

Tra il 1974 e il 1980, Aldo Ferrara e, tra il 1980 e il 1985, Bruno Dominijanni, seguono la stessa strada, con il PSI che si affianca alla Democrazia Cristiana. I loro discorsi nelle fabbriche e nelle piazze di Catanzaro o Reggio Calabria sono pieni di promesse per i lavoratori, mentre le assemblee parrocchiali rafforzano il radicamento locale.

In quest’epoca pre-mediatica, la televisione è un lusso. La RAI trasmette interviste formali, ma il vero potere è nella presenza fisica. Non ci sono social, né Internet, e la stampa locale (come, ad esempio, la “Gazzetta del Sud”) amplifica i messaggi, ma con lentezza. Il successo di questi presidenti nasce dalla capacità di tessere reti personali, sfruttando il clientelismo e le alleanze partitiche. È una comunicazione “calda”, viscerale, che però limita il raggio d’azione a élite locali, lasciando poco spazio a visioni di ampio respiro.

Con gli anni ‘90, la Calabria politica cambia pelle. La riforma del 1995 introduce l’elezione diretta del presidente, rendendo le campagne più competitive e visibili. La televisione diventa un’arma potente, non più solo la RAI, ma anche emittenti locali come RTC o Telespazio Calabria trasmettono dibattiti e spot elettorali.

Giuseppe Nisticò, tra il 1995 e il 1998, primo presidente eletto direttamente, cavalca l’onda di Forza Italia e della “rivoluzione berlusconiana”. I suoi comizi a Catanzaro si mescolano con spot TV che promettono una Calabria moderna, con slogan semplici su sanità e rifiuti. Il porta a porta resta ancora valido, ma si concentra nelle città, mentre le affissioni invadono i muri delle strade statali. La stampa locale amplifica il tutto, con titoli che esaltano o criticano le promesse.

Questa fase vede anche un cambio di ritmo, con la comunicazione diventa una specie di “spettacolo”. Giambattista Caligiuri (1998-1999) e Luigi Meduri (1999-2000) si affidano a interviste televisive e comizi ben organizzati, mentre Giuseppe Chiaravalloti (2000-2005) sfrutta il carisma di Silvio Berlusconi, apparendo in spot e dibattiti che lo dipingono come il “nuovo volto” del centrodestra. La TV amplifica i messaggi, ma espone anche alle critiche. Scandali e promesse non mantenute, specialmente sul tema della sanità, diventano terreno di scontro mediatico. La Calabria, con il suo astensionismo cronico già al 40% negli anni ‘90, chiede una comunicazione più incisiva, capace di superare la sfiducia.

L’arrivo del nuovo millennio porta Internet nelle case dei calabresi, anche se lentamente. Tra il 2005 e il 2010, Agazio Loiero, eletto col centrosinistra, è tra i primi a usare siti web per pubblicare programmi e mailing list per raggiungere elettori. La sua campagna, però, resta ancorata ai metodi tradizionali con comizi in tour da Crotone a Vibo Valentia, con ospiti nazionali come Prodi, e un porta a porta mirato a riconquistare gli ex democristiani. La televisione domina ancora, con spot che esaltano il “rinnovamento” del PD, ma i primi vagiti di Facebook, nel 2006, si fanno sentire. Post di eventi e foto di strette di mano iniziano a circolare, anche se con scarso impatto.

Questa fase è ibrida. I comizi perdono la centralità, sostituiti da “tour territoriali” che mescolano incontri pubblici e dirette televisive. Loiero vince grazie a una narrazione di speranza, ma la sua comunicazione, ancora legata ai media tradizionali, fatica a raggiungere i giovani, già disillusi da una regione con il 25% di disoccupazione giovanile.

Nel 2010 i social media rivoluzionano tutto. Giuseppe Scopelliti usa Facebook per post su infrastrutture, ma la sua campagna resta legata a comizi e TV, con un messaggio di “orgoglio calabrese”. Il suo crollo, per vicende giudiziarie, è amplificato dai media, mostrando i rischi della sovraesposizione.

Mentre Mario Oliverio tra il 2014 e il 2020 segna un punto di svolta: la sua vittoria con il 61% nel 2014, si deve a comizi con big nazionali come Matteo Renzi, tour capillari contro l’astensionismo (al 50% nel 2014) e un uso più strutturato di Facebook per live e programmi. Il porta a porta, specie nelle aree rurali, resta cruciale per mobilitare un elettorato frammentato.

Siamo nel 2020 quando Jole Santelli, prima donna presidente in Calabria, incarna l’era social. La sua campagna, in piena pandemia, si gioca su prevalentemente su Instagram e Facebook, con reel che la dipingono come una leader forte, live con Berlusconi che celebre il comizio di Tropea, con battute imbarazzanti e virali e una narrazione di rottura contro il centrosinistra. Il porta a porta è limitato dal Covid, ma i social compensano, con micro-targeting che raggiunge giovani e donne. La sua vittoria (col 55%) è un trionfo della comunicazione digitale, ma la sua prematura e tragica morte, pochi mesi dopo, lascia un vuoto che i social amplificano, trasformandola in icona.

Roberto Occhiuto in carica dal 2021, rappresenta il culmine di questa evoluzione. La sua campagna “La Calabria che non ti aspetti” è un capolavoro di strategia digitale: reel sui social che esaltano i successi (fondi UE, turismo), video virali che attaccano l’opposizione, e sondaggi diffusi come “verità” sui social, nonostante un astensionismo al 44% nel 2021. I comizi servono da chiusura spettacolare, mentre il porta a porta si concentra nelle roccaforti di Forza Italia. Occhiuto usa star come Bob Sinclair per un’immagine moderna e reel che omettono il debito sanitario, costruendo una narrazione ottimistica che gli vale il 54% nell’ultimo sondaggio, con Tridico suo avversario che però, in termini di comunicazione rimonta bene rispetto al primo momento della sua candidatura.

Oggi, i social dominano il 70% della comunicazione politica, come riportano i dati AGCOM 2023, con algoritmi che creano bolle informative e amplificano la polarizzazione. La Calabria, con i suoi problemi irrisolti, è terreno fertile per promesse digitali che spesso si scontrano con la realtà. Le elezioni del 2025, ormai alle porte, mostrano un futuro incerto: l’uso di AI per targeting e il rischio di deepfake, come i 265 account fake su FB nel 2019, potrebbero ridefinire il gioco. I comizi restano per l’autenticità, ma il potere è nei reel di 15 secondi che catturano l’attenzione di un elettorato stanco.

La storia dei candidati presidenti calabresi è anche la storia di una comunicazione che si è evoluta, ma che riflette le ferite di una regione. Dalle piazze di Guarasci ai reel di Occhiuto, ogni fase ha risposto alle esigenze del momento.Come il contatto umano degli anni ‘70 per unire comunità sparse, la TV degli anni ‘90 per amplificare promesse, i social degli anni 2010 per parlare ai giovani. Eppure, ogni passo avanti ha portato rischi: la polarizzazione digitale, le fake news, l’astensionismo che resta una piaga.

I presidenti vincenti hanno saputo adattarsi, mescolando tradizione (comizi, strette di mano) e innovazione (algoritmi, live). Ma la Calabria chiede di più. Chiede una comunicazione che sia in grado di costruire fiducia in una terra che troppo spesso si sente tradita dalla politica. Le prossime elezioni, a breve, saranno un banco di prova: riuscirà il prossimo presidente a parlare al cuore dei calabresi, senza perdersi nel rumore dei social? Solo il tempo, e i risultati di voti, ce lo diranno.

*documentarista