Il senatore dem tesse la tela per una nuova area riformista. Lancia Onorato, strizza l’occhio a Sala e sogna la Rai con Casini. «Io e Pierferdinando, come Arbore e Frassica. Amo l’arte del cazzeggio»
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Dario Franceschini ha deciso che è arrivato il momento di uscire allo scoperto. L’ex ministro della Cultura, senatore dem e veterano delle alleanze, torna al centro del dibattito con una proposta chiara: costruire una nuova forza moderata per rafforzare il campo progressista. Non è un addio al Pd, tutt’altro. Ma è una chiamata alle armi per un’area troppo frammentata e orfana di una guida politica solida.
Con il solito stile da eterno pontiere, l’ex ministro si presenta come “regista” di una operazione che ha poco di improvvisato e molto di pensato. E parte da una dichiarazione netta: «Vorrei prevenire i retroscena estivi: io penso che per vincere sarebbe utile nascesse una forza moderata del centrosinistra che unisca e rafforzi un’area troppo frammentata. Tutto qui, perché è evidente che la mia casa è e resterà il Partito democratico guidato da Elly Schlein».
Ma se la casa è il Pd, il giardino comincia a popolarsi. «Il centro vale il dieci per cento», dice Franceschini con sicumera, «e il leader si deve imporre nella lotta». Altro che nomine a tavolino: «Far partire la lotta e poi vedere nella lotta chi emerge, chi si impone. Non si può stabilire a tavolino chi debba farlo».
E i nomi? Ne fa eccome. «Alessandro Onorato è un nome, ma ci sono anche i sindaci come Gaetano Manfredi e la bravissima Silvia Salis di Genova». E poi, con uno sguardo al Nord: «Anche Sala, se solo volesse…».
Onorato, intanto, si muove: domani nelle Marche raduna 200 sindaci, tra cui la genovese Salis e il veronese Tommasi. I civici ci sono, ma vanno coordinati, federati, armonizzati. Compito non semplice, da veri artigiani della politica. O da ex democristiani.
Franceschini non ha perso il tocco. A chi gli chiede se Schlein stia troppo a sinistra, risponde secco: «Schlein ha scelto di stare a sinistra». E a chi gli chiede se Conte sia ancora parte della partita, risponde con una delle sue massime cerchiobottiste: «Si può stare insieme anche senza stare insieme». L’Ulivo style non muore mai. E nemmeno l’ironia. Quando gli viene detto che Giuseppe Conte “putineggia”, replica: «Va lasciato sfogare». Come un parente scomodo alle cene di Natale.
Il vero colpo di scena, però, è un altro. «Posso dirlo? Vorrei avere un programma in Rai, alla Arbore. Io e Pier Ferdinando Casini». E giù risate, battute, improvvisazioni. Casini rincara: «State parlando con Franceschini il “regista”, l’unico grande regista rimasto in Italia e io gli faccio d’aiuto». Franceschini sorride: «Amo l’arte del cazzeggio». E sogna «Quelli che il centro», spin-off nostalgico di «Quelli della notte», con la benedizione dell’ex Udc.
Ma dietro le battute c’è un piano. Nella sua officina romana – sì, una vera officina sotto casa sua – Franceschini riceve, ascolta, tesse. L’ultimo ospite noto? Goffredo Bettini. Perché in questa strana estate 2025 la Margherita pare germogliare di nuovo. Non più come partito, ma come zona franca dove moderati, civici, cattolici, liberal e nostalgici del centrosinistra che fu cercano un nuovo baricentro.
Perché? Perché i numeri parlano chiaro. Fratelli d’Italia regge, il Pd di Schlein cresce ma ha toccato il soffitto, l’alleanza con M5S e Avs porta voti ma sposta troppo a sinistra. Manca il centro, quello vero. Non l’esperimento malriuscito tra Renzi e Calenda, ma una piattaforma stabile che attiri chi non vuole finire tra i sovranisti. «Il modello può funzionare se decolla la gamba di centro, una gamba nuova e i nomi ci sono».
Eppure il rischio è che i tanti cantieri aperti — dal “Più uno” di Ernesto Ruffini al movimento pacifista di Marco Tarquinio e Paolo Ciani — finiscano per pestarsi i piedi. Franceschini lo sa e cerca la quadra. Non per spaccare, ma per rafforzare. «Non è giusto fare sempre dichiarazioni», dice in un altro momento. Ma le fa eccome, con misura, con intelligenza, con mestiere.
C’è spazio anche per una stilettata alla destra. Mentre Giorgia Meloni prova a far passare la riforma sulla separazione delle carriere, Franceschini si prepara all’intervento al Senato: «Questo è un nuovo Papeete. Giorgia Meloni vuol prendersi i pieni poteri, ma noi non glielo consentiremo, ci opporremo con tutte le nostre forze allo scempio della Costituzione».
E così, tra una boutade e una battuta, il senatore dem diventa qualcosa di più. Un federatore, un cabarettista della politica, un demiurgo del centro che verrà. Casini lo chiama “fratello”, lui risponde con un sorriso sornione. Il centro? Non esiste ancora, ma ha già i suoi autori, i suoi titoli e — perché no — il suo palinsesto.
Franceschini e Casini in Rai. E il Pd che li guarda. Lui se la ride: «Divertirsi nella vita, e nella politica, è tutto».