Le prime vere vittorie laiche tra gli anni ’70 e ’80, i fallimenti degli anni 2000 (con rare eccezioni). Adesso la Cgil punta su temi fortemente sociali
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Storicamente, i referendum abrogativi in Italia – che servono a cancellare una legge o una parte di essa – devono superare un quorum di validità: il 50% + 1 degli aventi diritto al voto deve recarsi alle urne. Questo requisito ha reso molto arduo il successo dei referendum, soprattutto negli ultimi decenni, per vari motivi. Tra questi la disaffezione politica e calo dell’affluenza: la partecipazione elettorale è calata drasticamente negli ultimi vent’anni. Un referendum senza una forte mobilitazione o senza coinvolgimento trasversale tende a fallire.
E poi c’è lo strumento dell’astensione strategica: i partiti contrari a un quesito spesso invitano a non votare, sapendo che è più facile far fallire il referendum sul quorum che vincere nel merito. Questa prassi ha svuotato di senso il dibattito democratico.
Quindi la complessità dei quesiti: spesso sono tecnici e poco comprensibili, scoraggiando la partecipazione di cittadini poco informati o non coinvolti direttamente.
Il ruolo storico dei radicali
Il Partito radicale, guidato storicamente da Marco Pannella, è stato il protagonista assoluto della stagione referendaria italiana dagli anni Settanta in poi. A loro si devono grandi battaglie civili che hanno cambiato il Paese. Quella del 1974: il referendum sul divorzio (promosso da ambienti cattolici per abrogarlo), che segnò la prima vera vittoria laica. Quella del 1981: la conferma della legge sull’aborto e poi nel 1993, coi referendum contro il finanziamento pubblico ai partiti, sulle preferenze elettorali, sul commercio, sulla TV pubblica.
I radicali usarono il referendum come forma di “democrazia diretta”, spesso contro l’immobilismo parlamentare. Tuttavia, col tempo, anche i loro referendum hanno cominciato a fallire per insufficienza di quorum, a causa del crescente disinteresse popolare e dell’emarginazione mediatica.
I tanti referendum falliti
Dal 1997 in poi, la maggioranza dei referendum abrogativi non ha raggiunto il quorum. Tra i più noti quelli del 2003 e 2005 sulla fecondazione assistita, nonostante un forte dibattito. Nel 2009 e 2011 ebbero un parziale successo (nel 2011 si votò in massa su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento, col quorum superato), ma furono eccezioni. Dal 2016 in poi, tutte le consultazioni hanno fallito il quorum.
I referendum abrogativi sul lavoro dell’8 e 9 giugno 2025 sono stati promossi principalmente dalla Cgil, il più grande sindacato italiano, con il sostegno di diverse forze politiche e sociali della sinistra. La raccolta firme è stata avviata nel 2023, in risposta a provvedimenti del governo Meloni e alla più ampia tendenza degli ultimi anni a deregolamentare il mercato del lavoro.
I quesiti referendari sono cinque
L’8 e il 9 giugno gli italiani sono chiamati alle urne per decidere l’abrogazione di quattro norme in materia di lavoro: stop ai licenziamenti illegittimi, più tutele per i lavoratori delle piccole imprese, riduzione del lavoro precario, più sicurezza sul lavoro ed un quinto quesito relativo alla cittadinanza italiana per gli stranieri che risiedono nel nostro Paese da almeno cinque anni.
Perché è difficile raggiungere il quorum
Il referendum abrogativo in Italia ha un alto tasso di fallimento, e ciò vale anche – e forse soprattutto – per i temi del lavoro, nonostante la loro rilevanza sociale. Le cause sono diverse.
Scarsa mobilitazione istituzionale: solo la Cgil è in prima linea. Cisl e Uil si sono sfilate, e molte forze politiche – anche di centrosinistra – sono tiepide o ambigue.
Media e silenzio informativo: salvo rare eccezioni, i principali mezzi di comunicazione hanno dedicato poco spazio ai quesiti, con il rischio che l’elettorato non sappia nemmeno che si vota.
Complessità dei temi: anche se cruciali per milioni di lavoratori, i quesiti riguardano modifiche legislative tecniche, che spesso scoraggiano l’elettore non addetto ai lavori.
Strategia dell’astensione: come accaduto in passato, le forze contrarie possono semplicemente invitare a non andare a votare, contando sul fallimento del quorum invece che sull’argomentazione nel merito.
La Cgil ha già tentato strade referendarie in passato. Il caso più noto è quello del 2017, quando promosse referendum su voucher e appalti. All’epoca, il governo Gentiloni evitò il voto popolare intervenendo con modifiche legislative. Ancor prima, il lavoro è stato al centro di importanti battaglie referendarie, ma raramente coronate da successo.
Va ricordato che i radicali, pur essendo più noti per le battaglie civili, hanno sostenuto anche referendum sociali (ad esempio contro il finanziamento pubblico, o a favore della liberalizzazione del mercato del lavoro), ma mai con grande presa tra il mondo sindacale.
Ma questa volta c’è una certa attenzione
Ci sono alcuni elementi nuovi che distinguono i referendum del 2025. Il tema è fortemente sociale: il lavoro precario, i licenziamenti e la sicurezza nei cantieri sono argomenti che toccano direttamente milioni di italiani, in un contesto di crescita delle disuguaglianze e povertà lavorativa.